Venezia 73
JACKIE di Pablo Larraín - Usa, Cile, 95’
Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, John Hurt
Jacquelin Kennedy, nelle ore terribili dell’assassinio del marito JFK, dell’elaborazione immediata del lutto, della preparazione del funerale di Stato, il tutto raccontato dal regista cileno Pablo Larrain (POST MORTEM - 2010; NO, I GIORNI DELL’ARCOBALENO – 2012). Ne esce il quadro intimo di una donna decisa e fragile nel contempo, che non riesce ancora a percepire quanto lei stessa abbia già inciso nella Storia e nel costume degli americani. Inquadrature spesso molto strette su di lei, non solo per avvicinare lo sguardo alla dimensione interiore della donna, ma anche ad indiziare il punto di vista del suo personaggio: troppo vicino alle vicende che hanno ispirato un profondo cambiamento per poterlo percepire con chiarezza. Larrain torna a parlare dell’elaborazione di un lutto intimo e politico al tempo stesso. Bella prova di attrice della Portman. Da vedere.
Fuori Concorso
THE JOURNEY di Nick Hamm - Gran Bretagna, 94'
Timothy Spall, Colm Meaney, Freddie Highmore, John Hurt, Toby Stephens
Scozia 2006. Durante I colloqui di pace per risolvere l’annosa questione irlandese, il predicatore protestante oltranzista Ian Pasley e Martin McGuiness, uno dei massimi responsabili del Sinn Fein, ex militante dell’IRA, devono insieme affrontare un singolare viaggio. A loro insaputa i servizi segreti li stanno spiando nella speranza di un accordo tra i due acerrimi nemici. Tratto da un episodio storico (sviluppato liberamente) che vide i due oppositori divenire, in alcuni anni, grandi alleati nel processo di pace, il film si dimostra, ben scritto, ben diretto e superbamente interpretato dalla coppia Colm Meaney e Timothy Spall. Dialoghi intensi sostenuti da un montaggio che non tradisce alcuna caduta di ritmo. Una lezione sulla Politica quando vola alto e sa divenire dialogo.
Orizzonti
GUKOROKU (GUKOROKU - TRACES OF SIN) di Kei Ishikawa - Giappone, 120'
Tsumabuki Satoshi, Mitsushima Hikari
Il thriller di Kei Ishikawa ha tenuto la sala col fiato sospeso. Incipit con inquadratura sul protagonista, che con un’aria svogliata guarda la pioggia cadere dietro i vetri dell’autobus. Subito lo spettatore viene trascinato all’interno del film, familiarizza con il personaggio e sorride al falso handicap che il ragazzo simula per far sentire in colpa uno dei passeggeri del mezzo. GUKOROKU racconta di un giornalista che riapre il caso di una famiglia rimasta uccisa un anno prima, intervistando colleghi e amici, mentre la sua vita viene stravolta dall’incarcerazione della sorella e dalla morte della piccola nipote. La fotografia dalle luci a volte fredde a volte neutre, le inquadrature il più delle volte in primo piano e i silenzi riescono con maestria a mantenere l’attenzione nonostante la conclusione vagamente anticlimatica dell’opera, che riesce comunque a riprendersi grazie ad un’ulteriore rivelazione finale. Interessante il connubio tra una rappresentazione della società decisamente giapponese e uno stile narrativo dal ritmo tipicamente occidentale. Intrigante.
Orizzonti
WHITE SUN di Deepak Rauniyar - Nepal, Usa, Qatar, Paesi Bassi, 87'
Dayahang Rai, Asha Magrati, Rabindra Singh Baniya, Sumi Malla, Amrit Pariyar
Interessante prodotto tibetano sulla delusione delle aspettative, che investe allo stesso modo adulti e bambini. Un ex soldato Maoista torna nel suo Paese d’origine in occasione della promulgazione della prima Costituzione Democratica del Tibet, e scopre che in sua assenza il padre, anziano capo villaggio, è venuto a mancare. Qui ritrova sua moglie e la figlia, decisa a conoscere quello che la maggior parte degli abitanti del villaggio crede sia suo padre, progetto reso difficoltoso dall’arrivo, assieme al protagonista, di un giovane orfanello dall’identità enigmatica. Ben rappresentato l’atavico scontro tra tradizione e progresso, polarità che per quanto classicamente contrapposte, finiscono per essere sterili ideologie, in nome delle quali si bada più al “protocollo” che alle esigenze pratiche in cui ci si trova a vivere. L’alternanza tra campi lunghissimi, in cui i personaggi compaiono solo di sfuggita, e primissimi piani che non lasciano spazio ad altri particolari, ben simboleggia la graduale presa di coscienza del protagonista riguardo l’insignificanza che le persone si trovano loro malgrado ad incarnare all’interno di un meccanismo regolato dall’ “etichetta”. Poetico e speranzoso il finale, in cui, classicamente, i bambini riescono ad agire il giusto compromesso tra rispetto delle tradizioni e necessità pratiche.
Venezia 73
PIUMA di Roan Johnson - Italia, 98’
Luigi Fedele, Blu Yoshimi Di Martino, Sergio Pierattini, Michela Cescon, Francesco Colella
Più leggero del precedente e apprezzato film dello stesso autore I PRIMI DELLA LISTA, anche PIUMA porta sulla scena le vicende di ragazzi sull’orlo della crescita. Nello stile della commedia generazionale viene raccontata la vicenda di Cate e Ferro, giovane coppia di liceali che, prima della maturità, scopre di aspettare un figlio. Le conseguenze nella vita di entrambi e delle rispettive famiglie, spesso non all’altezza, innescheranno il cambiamento non solo dei protagonisti, ma di tutti i personaggi in rapporto con loro. Gli argomenti sarebbero complessi vengono trattati con molta leggerezza, ironia e comicità, ma non senza poesia, con attenzione a non uscire dal politicamente corretto. I temi che emergono sono tanti: dalla crescita alla famiglia, passando per il rapporto di coppia, l’aborto e la comunicazione inter e intra generazionale. Piacevole.
Settimana della Critica
PRANK di Vincent Biron - Canada, 78’
Etienne Galloy, Constance Massicotte, Simon Pigeon, Alexandre Lavigne
Quattro giovani in un’anonima cittadina passano il loro tempo improvvisando scherzi di dubbio gusto e filmandoli con il cellulare. La macchina da presa, vicina al più giovane di loro, ne sottolinea desideri ed incertezze; soprattutto il bisogno di essere accettato: nella compagnia sembra trovare un’alternativa alla solitudine. Si respira un’aria di presunta libertà e ribellione, ma presto nel gruppo affioreranno dubbi e gelosie… La narrazione prosegue frammentaria seguendo le bravate dei ragazzi, ma mostrandole nella loro desolante presunzione eversiva. La voglia di scardinare una realtà fatta di spazi vuoti - che alludono a ben altri vuoti di prospettive, ideali, valori – si rivela gioco disperato in cui il finale porta a chiedersi chi sia la vittima e chi il carnefice.