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Fuori dal Coro 2015
Il laboratorio cinema Venezia quest'anno coinvolge molti giovani operatori (tra i 18 e i 23 anni) del circuito Sentieri di Cinema, al lido dal 2 al 12 settembre per documentare la 72.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
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05/09/2015
Quarto giorno
Venezia 72
THE DANISH GIRL di Tom Hooper - Regno Unito, Usa, 120'
Con: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Amber Heard, Sebastian Koch, Ben Whishaw, Matthias Schoenaerts
Il regista Premio Oscar per “Il discorso del re” e “Les misérables”, porta sul grande schermo la storia del pittore danese Einar Wegener che, nel 1930, affrontò (per primo) l'intervento chirurgico per la riassegnazione di genere diventando a tutti gli effetti Lili Elbe. L'impressione è quella di trovarsi di fronte ad un bel film costruito a tavolino per piacere e strappare qualche lacrima al punto giusto e si nota perfettamente quanto il regista londinese si trova a suo agio nel film in costume. Il linguaggio cinematografico si arricchisce di notevoli movimenti della mdp, di un'ottima fotografia, di un buon commento sonoro (Alexandre Desplat). Se al suo arco il film può giocare, inoltre, ottime frecce come la grande cura posta nella ricostruzione storica a partire dagli splendidi costumi a firma di Paco Delgado e all'intepretazione dei due attori protagonisti Eddie Redmayne (recente Oscar per l'interpretazione di Stephen Hawking in “La teoria del tutto”) e Alicia Vikander, non si può sottacere una certa enfasi nel calcare il pedale sull'emozione in perfetto stile Lasse Hallstrom.
Venezia 72
L'ATTESA di Piero Messina - Italia, Francia, 100'
Con: Juliette Binoche, Lou de Laâge, Giorgio Colangeli, Domenico Diele, Antonio Folletto, Giovanni Anzaldo
Una giovane ragazza francese arriva in Sicilia per ricongiungersi col ragazzo amato. Al suo arrivo nella tenuta di lui, viene accolta dalla madre sconvolta per un recente lutto. Lui non è in casa… La negazione del lutto nell’attesa (parola chiave di questo racconto) della sua elaborazione dolorosa è il tema attorno al quale si dipana questo lungometraggio, opera prima del documentarista siciliano Piero Messina. Molto liberamente ispirato a “La vita che ti diedi” di Luigi Pirandello, il film tenta la carta del mistero e del “non detto”, che caratterizza tanta parte della produzione del noto scrittore e drammaturgo, rielaborandola attraverso l’uso meditato di inquadrature evocative che suggeriscono punti di osservazione lontani dagli stereotipi: una panoramica che sembra avvolgere un Cristo ligneo venerato con devozione silenziosa, un rito funebre sobrio, colori netti e dai toni insolitamente freddi per un’ambientazione siciliana…Lo spettatore vive, così, l’attesa di una Pasqua che non restituirà materialmente la vita perduta, ma potrà rinnovare quella di chi resta, risanando lentamente la ferita della separazione tramite lo svelamento della verità. Straniata e dolente l’espressività di Juliette Binoche; volutamente in ombra ed opaco il nostro Giorgio Colangeli, in un prodotto originale cui si può perdonare qualche lungaggine. Accolto con un certo disappunto alla prima proiezione, con applausi il giorno seguente.
Orizzonti
THE CHILDHOOD OF A LEADER di Brady Corbet - Gran Bretagna, Ungheria, Belgio, Francia, 113'
Con: Liam Cunningham, Bérénice Bejo, Stacy Martin, Yolande Moreau, Tom Sweet, Robert Pattinson
Francia, fine della Prima Guerra Mondiale. Questo il quadro temporale nel quale si svolge l'infanzia turbolenta del piccolo protagonista figlio di un funzionario USA accreditato per il trattato di Versailles. Il racconto, suddiviso in 4 atti per altrettanti “attacchi d'ira” del bambino che lasciano presagire il carattere volitivo di quest'ultimo e la sua predisposizione al comando, illustra una sorta di genesi del Male attraverso una storia di ribellione all'ordine familiare e alle varie figure educative. Il giovane regista e attore ventisettenne, inspirandosi a “L'infanzia di un capo” di J. P. Sartre e a “Il Mago” di John Fawles, sceglie un linguaggio volutamente oscuro e anticonvenzionale miscelando luoghi comuni del film in costume con un commento sonoro straniante e dissonante, vieppiù amplificato nel volume, quasi a soverchiare l'inquadratura. Peccato che il regista scelga di perseguire sino alla fine nel solco di una voluta ed esibita incompiutezza al punto da lasciare lo spettatore basito. Comunque interessante nella sua curiosa costruzione.
Orizzonti
KRIGEN di Tobias Lindholm - Danimarca, 115'
Con: Pilou Asbæk, Tuva Novotny
Una famiglia divisa: lui in guerra in Afghanistan a combattere i Talebani, lei a casa a combattere la quotidianità di tre figli da svezzare; finché lui non torna a casa con l'accusa infamante di aver provocato una strage di civili. Regista di apprezzate serie televisive in Danimarca nonché apprezzato co-sceneggiatore e regista, Tobias Lindholm costruisce un atipico war-movie dalla narrazione inconsueta: montaggio alternato nella prima parte, lineare nella seconda. Le sequenze di guerra sono girate con una magistrale attenzione ai movimenti della mdp e al montaggio (senza contare il commento sonoro). L'orrore della guerra (tanto di chi la pratica, quanto di coloro che la subiscono anche a distanza), emerge in tutta la sua crudezza in questa drammatica riflessione che ha il pregio di essere molto obiettiva e poco incline alle ruffianerie emozionali. Accoglienza strepitosa in sala con la standing ovation più lunga in questi primi giorni di Mostra. Assolutamente da vedere confidando in una distribuzione nazionale.
Biennale College
BLANKA di Kohki Hasei - Giappone, Italia, 75’
Con: Cydel Gabutero, Peter Millari, Jomar Bisuyo, Raymond Camacho, Ruby Ruiz
Alcune cose non si possono comprare, ma Blanka ha tanto bisogno di “casa” da diffondere volantini con l’annuncio della ricerca di una mamma per 30.000 pesos.
In quest’opera, realizzata nell’ambito del progetto Biennale College Cinema, il giovane regista giapponese Kohki Hasei esplora le strade di Manila scegliendo il punto di vista dei bambini e degli adolescenti orfani che le abitano: ne risulta una visione pragmatica della quotidianità, sempre volta alla risoluzione di quei problemi che l’occhio adulto dipingerebbe forse a tinte fosche e cariche di sterile vittimismo. Per altri versi, invece, il mondo infantile e quello adulto risultano estremamente simili, e seguono i medesimi pattern fondati sull’opposizione classica tra coadiuvanti e antagonisti della protagonista. Filo conduttore della vicenda è la figura emblematica di Peter, un anziano cantante di strada cieco, portatore per Blanka di opportunità alternative, per quanto provvisorie, all’illegalità e ai rischi della vita di strada. Grazie a questo rapporto i due crescono insospettabilmente insieme, imparando a prendersi cura l’uno dell’altro, fino a delinearsi, di fatto, come il nucleo familiare che la ragazzina ha sempre desiderato. Significative le panoramiche aeree sulla baraccopoli di Manila, che approdano fino ai vicoli e ai marciapiedi dove, su vecchi cartoni, dormono i ragazzi di strada; i colori caldi e la luminosità avvolgente accompagnano una narrazione dai toni agrodolci, ma sempre fresca e spontanea, senza cadute nell’ingenuità.
Settimana della Critica
BANAT (IL VIAGGIO) di Adriano Valerio - Italia, Romania, Bulgaria, Macedonia, 82'
Edoardo Gabriellini, Elena Radonicich, Piera Degli Esposti, Stefan Velniciuc, Ovanes Torosyan.
Laureato in legge, ma con quel particolare “tarlo del cinema” che ne ha fatto prima un allievo di Bellocchio poi un insegnante di analisi del film presso la International Film School di Parigi, Adriano Valerio esordisce nel lungometraggio a 38 anni con BANAT (IL VIAGGIO).
La storia è quella di Ivo e Clara: lui, agronomo, sta lasciando un appartamento a Bari per trasferirsi in Romania ove l’attende un lavoro, ma non riesce a decidersi di partire; lei, restauratrice di barche, sta per trasferirsi proprio nell’appartamento del ragazzo. Sospesi tra la paura del cambiamento e l’impossibilità di restare dove sono, i due dovranno “perdere per ritrovare” e così ritrovarsi.
Il viaggio che entrambi affronteranno è un viaggio della speranza alla rovescia (dall’Italia all’Europa dell’Est) sui temi della perdita e del recupero del lavoro, degli affetti, dell’identità e della dignità. Volutamente irrisolto, il film soffre un po’ una partenza “già vista” (con voce over alla “Ovosodo”) e qualche rallentamento alla ricerca di straniamenti e sospensioni non sempre pienamente poetici… Significativa la gestione dello spazio. Una buona opera prima.
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