In concorso
ANIME NERE di Francesco Munzi (Italia, Francia, 103')
Con: Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo, Barbora Bobulova
Tre fratelli calabresi: il più giovane trafficante internazionale di droga, quello di mezzo imprenditore a Milano (coi soldi sporchi del primo), il più anziano, legato al paese natale in Aspromonte, si illude di condurre una vita legata all’agricoltura e alla pastorizia. Ispirandosi liberamente al romanzo omonimo di Gioacchino Ciriaco, il film di Francesco Munzi (“Saimir” –Menzione Speciale Opera Prima, Venezia 2004 e “Il resto della notte” al Festival di Cannes nel 2008) ha il pregio di una sceneggiatura solida supportata dalla fascinosa fotografia di Vladan Radovic e da un cast mediamente in parte. Discostandosi dal racconto originale Munzi preferisce concentrarsi sulla dimensione familiare e generazionale del dramma della ‘ndrangheta sospendendo il racconto in una dimensione temporale in bilico fra l’arcaico contadino e il postmoderno e lavorando, altresì, con il “coro” dei personaggi fino a sfiorare la tragedia classica. Una buona prova d’autore che lascia il segno.
Fuori concorso
SHE'S FUNNY THAT WAY di Peter Bogdanovich (Usa, 93')
Con: Owen Wilson, Imogen Poots, Jennifer Aniston, Rhys Ifans, Kathryn Hahn
Durante un’intervista una giovane attrice dal recente passato di escort, ripercorre gli assurdi eventi che le hanno cambiato la vita. Regista-autore-attore-produttore sin dal 1966 il grande Bogdanovich torna a Venezia (dopo aver vinto il Premio della critica nel 1979 con “Saint Jack” e aver inaugurato l’edizione del 1982 con “They All Laughed”), portando una ventata di strepitosa allegria grazie ai toni frizzanti di questa commedia romantica che strizza l’occhio alla classica commedia sofisticata hollywoodiana (coppie che scoppiano in una reazione a catena, inganni sentimentali, qui pro quo, inganni ed happy end). Una sceneggiatura calibrata al millimetro sostiene l’architettura complessa di una trama strepitosamente intricata al cui ritmo frizzante si muove un cast azzeccato fatto di volti noti e gradevoli novità. Accoglienza calorosissima e risate a scena aperta durante la proiezione dedicata agli accrediti.
Fuori concorso
QIN' AI DE (DEAREST) di Peter Ho-Sun Chan (Hong Kong, Cina, 135')
Con: Zhao Wei, Huang Bo, Tong Dawei, Hao Lei, Zhang Yi
Fili elettrici intricati, con interruzioni difficili da ricollegare; un gatto sperduto che appare e scompare. Sono le inquadrature ricorrenti del film cinese Qin’ai de (Dearest), di Peter Ho-Sun Chan, opera Fuori Concorso di Venezia 71. La tematica centrale rivela la drammatica realtà della sparizione di minori in Cina, una rete di rapimenti destinati alle adozioni clandestine e alla compravendita di bambini. Ad essere messi a confronto sono i desideri e i sentimenti dei genitori vittime del rapimento e di una “madre” cui i bambini vengono consegnati dal compagno, che tiene la donna all’oscuro della loro provenienza illegale, dopo averla convinta di essere sterile. Il regista ricava la sceneggiatura da fatti di cronaca, come esplicitato dalle immagini conclusive dell’opera, senza rinunciare alla costruzione di una fiction tramite gli stilemi della narrazione classica di denuncia sociale. Sfiorando il rischio del melodramma in alcuni passaggi, l’opera si mantiene tuttavia in equilibrio nell’offrire uno spaccato fedele e coraggioso di tale realtà, che riguarda tutta la Cina.
Orizzonti
HEAVEN KNOWS WHAT di Josh Safdie, Ben Safdie (Usa, Francia, 94')
Con: Arielle Holmes, Caleb Landry Jones, Buddy Duress
Harley è una giovane senzatetto che conduce una vita da tossica nella periferia di New York. La sua esistenza ruota intorno alla droga e all’amore distruttivo per Ilya, ragazzo segnato a sua volta dalla realtà dell’accattonaggio e dell’abuso di sostanze stupefacenti. La coppia di giovani registi newyorkesi si sono ispirati al vissuto reale della protagonista femminile per costruire il racconto. I registi attraverso uno stile che strizza l’occhio al documentario, la narrazione procede in modo lineare pur riuscendo ad esprimere costantemente la visione distorta che la protagonista ha degli avvenimenti. I personaggi si muovono secondo traiettorie esistenziali contorte tornando ciclicamente a ripercorrere le stesse strade. L’eccessiva ed apparente invadenza del commento sonoro, in realtà si rivela elemento caratteristico del racconto filmico con funzione fortemente espressiva.
Orizzonti
TAKVA SU PRAVILA (THESE ARE THE RULES) di Ognjen Svilicic (Croazia, Francia, Serbia, Macedonia, 75'9
Con: Emir Hadzihafizbegovic, Jasna Zalica, Hrvoje Vladisavljevic
Un padre, una madre, un figlio adolescente nella periferia popolare della Zagabria contemporanea. Quando il ragazzo viene picchiato da un compagno di scuola ed entra in coma a causa dei traumi riportati, per la famiglia crolla tutto un mondo di quotidiana sicurezza. Il regista croato, classe 1971, mette in scena un dramma minimale che omaggia gli ultimi, gli sconfitti, i “vinti”, in una immagine molto pessimistica della società contemporanea annichilita nella violenza gratuita, nella burocrazia impersonale, nella giustizia lontana dalle persone. Dal punto di vista del linguaggio cinematografico, l’autore si tiene lontano da formalismi e ricercatezze (nessuna inquadratura particolare né movimenti di macchina avvolgenti). Tuttavia, tale apparente semplicità risulta, in effetti, molto più efficace grazie ad una sceneggiatura molto curata ed all’intensità delle prove attoriali. Un buon prodotto da mostra.
Settimana Internazionale della Critica
BINGUAN (LA BARA SULLA MONTAGNA) di YUKUN XIN (Cina, 119')
Con: Huo Weimin, Wang Xiaotian, Luo Yun, Yang Yuzen, Sun Li, Cao Xian, Jia Zhigang, Shao Shengjie, Zhu Ziqing, Wang Zichen
Il giovane, esordiente regista cinese Xin Yukun presenta per la Settimana della critica un’opera prima già “scaltra”, che maneggia con sicurezza una sceneggiatura “rompicapo”. La linea del tempo viene, infatti, allegramente manipolata intorno ad una bara, che contiene il corpo non si sa di chi, mentre coincidenze ed incroci esistenziali si susseguono svelando desideri, complotti, segreti che coinvolgono in un vortice imprevedibile gli abitanti di un piccolo villaggio della Cina meridionale. Lo scioglimento avviene per sorprese progressive e mai definitive, secondo un’elaborazione narrativa durata circa tre anni, come ha dichiarato il regista stesso durante il dibattito. La ripresa segue i personaggi con primi e primissimi piani e macchina a spalla, lasciando panoramiche e campi lunghi per descrivere gli ambienti naturali; il ritmo non scende mai, il registro è sospeso tra serietà e ironia “cinese” nell’attraversare le tematiche dei rapporti tra genitori e figli, tra mariti e mogli, tra cittadini e istituzioni, tra fede, tradizione e contemporaneità… Chapeau ad un esordio così.