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Fuori dal coro 2013
Anche quest'anno gli operatori del circuito "Sentieri di Cinema" presenti in laguna racconteranno su queste "pagine" il proprio punto di vista sulla Mostra del Cinema di Venezia.
Il gruppo, inoltre, farà parte della giuria CGS per il premio LANTERNA MAGICA 2013.
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31/08/2013
Figli e famiglie
Il primo week end di Mostra è sempre vissuto dai festivalieri come un giro di boa. Intanto, al terzo giorno la competizione inizia ad entrare nel vivo e si possono tentare i primi paragoni, poi, la calma irreale (e ideale) delle precedenti proiezioni lascia il posto alle tradizionali code e, ovviamente, aumenta decisamente la presenza del pubblico e degli accrediti scatenando la lotta per l’ultimo posto a sedere (garanzia di accesso in sala). Già a partire dai primi traghetti della mattinata si è capito che anche questo week end non avrebbe fatto eccezione (e puntualmente siamo rimasti fuori dalla Sala Grande in una proiezione in cui era previsto anche il pubblico). Tuttavia una buona scelta nel programma giornaliero e una fortunata sostituzione dell’ultimo minuto ci hanno consentito di mantenere la media delle cinque visioni.
La mattinata parte “col botto di PHILOMENA, sbarcata in concorso al Lido con un corollario preventivo di polemiche circa presunti e feroci attacchi alla Chiesa cattolica. Stephen Frears, l’autore degli indimenticabili: “Le relazioni pericolose”; “My beautiful Laundrette”; “Lady Henderson presenta” e “The Queen”, si ispira al romanzo “The Lost Child of Philomena Lee” del giornalista Martin Sixsmith che racconta la storia vera delle peripezie di una anziana donna irlandese alla ricerca del figlio sottrattole cinquant’anni prima dalle suore e dato in adozione ad una coppia di americani (per la cronaca, l’allora ragazza in questione s’era macchiata di un crimine socialmente ripugnante nell’Irlanda degli anni ’50, era una ragazza madre…). Chi pensava l’emozione forte alla “Magdalene Sisters” è uscito scontento, perché Frears lavora di fino (sceneggiatura affidata alle penne di Steve Coogan e Jeff Pope) dalla prima all’ultima inquadratura e non sbaglia una scelta fino a confezionare una pellicola avvincente dal punto di vista narrativo e drammaturgico. Il racconto procede alternando momenti di contenuta emozione a pennellate di strepitosa ironia e, pur nella cornice tragica, lascia spazio di riflessione allo spettatore che non è caricato di giudizi gratuiti o personaggi eccessivamente caricaturali. La “suora cattiva” c’è, una, “eliminata”, tra l’altro con la stessa arma della fede: il perdono. Strepitosa Judi Dench che potrebbe aspirare ad una meritatissima Coppa Volpi.
Fuori concorso l’attesissimo e corteggiatissimo CHILD OF GOD di James Franco. Dal romanzo omonimo di Corman McCarthy, l’attore, regista e sceneggiatore che sta vivendo una personalissima epifania trae la storia dell’orfano disadattato Lester Ballard che vive come un animale feroce nei boschi del Tennessee discendendo tutti i gradini della degenerazione e del crimine (a sua parziale discolpa la crescita in un ambiente totalmente privo di qualsivoglia affetto e solidarietà). L’interpretazione tutta fisica di Scott Haze è di quelle che rimangono in memoria a lungo (praticamente tutto il film si regge sulle sue spalle… robuste). Notevole la colonna sonora all folk (solo chitarra, banjo e armonica a bocca) che sottolinea ancor più il tono da ballata tragica. A questo proposito stonano pesantemente sull’andamento del racconto tutte quelle dissolvenze al nero che interrompono continuamente il flusso narrativo. Peccato.
Nella selezione della 28° Settimana internazionale della Critica, strappa gli applausi della Sala Darsena (Stampa e Industry), LAS NIÑAS QUISPE del cileno Sebastián Sepúlveda. Sceneggiatore di fama internazionale, nonché montatore e attore, il regista di Conceptión, debutta alla regia con questa storia minimale desunta dalle cronache cilene del 1974. Ad un anno dall’inizio della dittatura il governo emana una legge che obbliga all’abbattimento delle greggi per favorire l’agricoltura. Le tre sorelle Quispe, che vivono di pastorizia fra le alture desertiche, rispondono con un atto estremo. La cifra stilistica è quella del minimalismo assoluto: 5 attori in tutto di cui solo 3 i principali, commento sonoro ridotto all’osso, dialoghi essenziali, fotografia quasi sovraesposta e spesso in controluce, campi lunghi e lunghissimi a sottolineare la solitudine e il “silenzio assordante” nei quali si consuma il dramma (non a caso il regista, interrogato in merito, ha risposto che si tratta di “un racconto di fantasmi che si muovono in uno spazio astratto”). Notevoli le interpreti (una delle quali non è un’attrice professionista, bensì una nipote delle Quispe reali), peccato l’orario di proiezione che non ha giovato ad una piena fruizione.
Cambio totale di registro per la terza visione nella Sezione delle Giornate degli Autori: MAY IN THE SUMMER di Cherien Dabis. Una commedia sentimentale familiare che rimette insieme il duo di “Amreeka” (Premio Fipresci a Cannes 2009), stessa regista e Hiam Abbas. Cherien Dabis, qui anche attrice, sceneggiatrice e produttrice, gioca con leggerezza sui rapporti interpersonali di un nucleo borghese tutto al femminile. Gli ingredienti: un matrimonio interreligioso che fa scandalo, un divorzio malriuscito, una sorella dalla sessualità incerta e un’altra sorella che non smette di combinare casini; l’amante del padre in cerca d’aiuto e una madre che infila ostacoli dappertutto. Nell’esilarante geometria dei vari triangoli emerge il tormentato rapporto fra la capofamiglia e la figlia maggiore. Scrittura simpatica e sbarazzina, intreccio gradevolmente ingarbugliato, ritmo sostenuto e tanta ironia, rendono il prodotto gradevole e piacevolmente esotico nel suo essere commedia.
Presentato nella sezione Orizzonti, WE ARE THE BEST di Lukas Moodysson (Svezia) è la storia di due preadolescenti che, emarginate dal contesto sociale della Stoccolma del 1982 a causa della loro passione per il genere punk, considerato morto dai loro coetanei, formano un piccolo gruppo musicale di scarso successo per riuscire ad esprimere e sfogare le delusioni e le frustrazioni cui sono sottoposte dall’ambiente cittadino e familiare. Il pubblico ha reagito con calore e divertimento alla pellicola, che coinvolge grazie al ritmo vivace e ai dialoghi innocentemente provocatori che svelano una salace satira non troppo nascosta dal candore infantile delle vicende, perdonando le forse eccessive semplicità e frivolezza della trama vera e propria, che avrebbe potuto sfruttare e sviluppare meglio delle premesse senza dubbio interessanti.
Conclude la giornata l’epico melò d’animazione: KAZE TACHINU (THE WIND RISES) del Leone d’Oro alla carriera (2005), Hayao Miyazaki. A cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, Jiro – che sin da piccolo sogna di volare e costruire aerei – diventa progettista di velivoli, incontra l’amore e deve affrontare le scelte giuste in un mondo che precipita verso la violenza. Il cartoon ha il pathos e la fattura di un vecchio film in costume compresi i trasporti romantici e certi tagli di luce impressionistici, impreziosito da una grafica ora surreale e fantastica, ora quasi naturalistica. Il Giappone degli anni ’30 è restituito nei caratteri e nelle ricostruzioni degli ambienti con una fattura mirabile. Assolutamente smentite le “voci” che marchiavano il prodotto come “guerrafondaio”. Semmai, finora, è il film più romantico di Venezia 70.
E anche per oggi è tutto. Buonanotte e buona domenica.
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