RASSEGNA STAMPA
a cura del CGS DORICO

THE OTHERS
Il Corriere della Sera - Maurizio Porro - 22/09/01

Sempre ad Eyes Wide Shut, Nicole Kidman, bella, pallida, evanescente, e brava come non mai, si offre, nel ruolo di una madre che legge la Bibbia a due figli allergici alla luce, ai poteri paranormali di un bel racconto ansimante di paure e sospiri firmato dal giovane regista spagnolo Amenàbar. Con un occhio alle brue del cinema dei vecchi castelli,fra governanti ambigue, rumori sospetti e strane presenza: "The Others" sono sempre tra noi, siamo tutti confinati nel Limbo. Il tutto al largo delle coste inglesi nelle notti dopo la II guerra mondiale. Un gotico racconto eccitante e claustrofobico denso di atmosfere e i cui rimandi sono Suspense, cioè "Giro di vite" di James e "Gli invasati" di Wise. È un delitto rivelare il finale.

THE OTHERS
Film - Fabio de Girolamo Marini

Dopo "The Others", Amenábar si presenta già come un autore dai tratti ben delineati, nonostante la giovane età e un curriculum di soli tre film. Tre sono i livelli che finora percorrono l'intera sua filmografia.
Uno lo chiamerei culturale in senso lato. Si racconta, nei suoi film, del crollo di un sistema di valori moralistico-razionalista, sotto la spinta di fattori esterni. In "The Others" Grace impone ai figli un credo basato su una fede cieca nella dottrina inculcata dalla chiesa (repressiva, castrante e soprattutto indiscutibile) e una fiducia assoluta nella ragione (tutto nella casa segue una logica precisa, nulla è fuori posto, i fantasmi non esistono perché non è ragionevole). La presenza sempre più incombente degli intrusi, irrazionale e immorale secondo l'ottusa visione della donna, abbatte in modo inesorabile le basi della sua visione del mondo, conducendola alla sorprendente scoperta finale. Il film, tra l'altro, doppia a livello stilistico questo sviluppo, poiché parte con inquadrature in prevalenza distanti dai corpi dei protagonisti, in prospettiva centrale, a sottolineare una visione oggettiva e 'ordinata' della realtà, per finire con lo stringersi progressivamente sui volti con un incedere sempre più spezzato e irregolare.
Altra costante è il discorso sul rapporto tra verità e apparenza. Sempre in "The Others", Grace dirige la vita delle persone che la circondano in modo autoritario, come fosse il regista delle loro esistenze. Gradualmente, però, la situazione le sfugge di mano, vuoi per l'atteggiamento anarchico dei suoi attori (Anne in primis), vuoi per il graduale manifestarsi di una realtà altra, misteriosa e inquietante. Grace è così costretta a cambiare ruolo, a improvvisarsi spettatrice-detective di quella sorta di vita parallela che si delinea sempre più chiaramente. Un ruolo, quello di detective, che non le si addice, data la poca elasticità che la contraddistingue. Come la Angela di "Tesis", viene trascinata dagli eventi e perviene alla verità per caso. E' l' 'autore implicito' del film che conduce lei insieme a noi a scoprirla, ribaltando la posizione rispettiva di realtà e apparenza. Grace viene così declassata a un ruolo di semplice attore fra gli altri.
Infine c'è il discorso sullo sguardo, che qui si trasforma in una sottile metafora della visione cinematografica. Come non intendere, infatti, i due bambini, malati di luce naturale, come una raffigurazione delle ombre proiettate sullo schermo, che possono, come loro, resistere solo alla luce artificiale delle lampade? L'oscurità delle loro stanze è l'oscurità della sala cinematografica e la loro natura di fantasmi, pronti a ingenerare in chi li percepisce una alternanza di attrazione e repulsione, non fa che confermare la consueta equazione: cinema=sogno=ombre che camminano.

THE OTHERS
Letture - Gianni Canova

Non ancora trentenne (è nato nel 1972), il regista Alejandro Amenábar è considerato l'astro nascente della cinematografia iberica. Con due soli film alle spalle ("Tesis", 1995, e "Apri gli occhi", 1997), ha dimostrato di possedere un solido senso della messinscena e di saper creare continui effetti di spaesamento nello spettatore grazie a una scrittura filmica nutrita della lezione dei classici e capace di mantenersi sempre in bilico fra la dimensione del reale e quella del fantastico o del sogno. "The Others", realizzato in lingua inglese, conferma e rafforza ora queste doti, misurandosi con un soggetto non facile, riconducibile al genere del 'film di fantasmi'.
L'azione si svolge sull'isola di Jersey, al largo delle coste britanniche, nel 1945. La seconda guerra mondiale è finita da poco, ma il marito di Grace (Nicole Kidman) non è ancora tornato a casa. Preoccupata e pessimista, la donna decide di trasferirsi con i suoi due figli Anne e Nicholas in una remota casa vittoriana isolata tra le brume della campagna. Giovane e avvenente, Grace è una donna dai rigorosi principi religiosi che cerca di crescere i suoi due figli secondo rigidi canoni morali. l due bimbi, peraltro, sono afflitti da una singolare e terribile malattia: non possono essere esposti alla luce solare diretta perché la loro pelle rischia di ustionarsi e di condurli alla morte in brevissimo tempo. Per questo la casa viene mantenuta perennemente nella semioscurità. E quando tre nuovi domestici prendono servizio nell'abitazione, Grace impone loro il rispetto rigoroso di una regola precisa: non si deve mai aprire una porta prima di aver chiuso quella precedente.
L'ordine ossessivo che regna sulla casa comincia però a incrinarsi quando i due bimbi dicono di avvertire strane presenze e denunciano atterriti misteriose apparizioni. Grace sulle prime non ci crede e imputa il fatto alla sovreccitata fantasia infantile, ma poi è costretta a ricredersi quando anche davanti ai suoi occhi si manifesta un fantasma: la casa probabilmente è infestata, Grace, i due bimbi e i tre domestici devono convivere con la minacciosa presenza di 'intrusi'. Come se non bastasse, anche il marito scomparso riappare all'improvviso in una giornata di nebbia: è il fantasma di quello che era, e forse non è neppure reale, forse è solo il parto dell'immaginazione e del desiderio di Grace.
Sapienza ammirevole
Girato con mano matura e con ammirevole sapienza ritmica e compositiva, "The Others" non è solo un film sui fantasmi. A suo modo, è un film-fantasma. Amenábar prende tutto Hitchcock, lo centrifuga, lo frulla e ne rimette in circolazione lo spettro. Prende una grande attrice come Nicole Kidman e ne fa il fantasma di Grace Kelly (nell'acconciatura, nell'abbigliamento, nella recitazione, perfino nel nome che dà al personaggio: Grace). Prende infine tutta una tradizione di letteratura spettrale, a cominciare da "Giro di vite" di Henry James, e la fantasmatizza sullo schermo. Come uno spettro dell'immaginazione, "The Others" è un film algido, evanescente, perturbante. Traccia gelide geometrie negli spazi della grande casa, immerge ambienti e personaggi in una luce livida e fredda e poi fa sobbalzare sulla sedia lo spettatore con l'irruzione dell'imprevisto e dell'inatteso. lntendiamoci: Amenábar è lontanissimo da quell'abuso di effetti speciali truculenti che caratterizza tanto cinema contemporaneo. Il suo film è anzi, da questo punto di vista, molto controllato: non c'è sangue, non c'è violenza dichiarata, c'è piuttosto una tensione che cresce a poco a poco, e che prende lentamente alla gola.
L'aspetto più inquietante, del resto, è dato dal fatto che tutti i personaggi del film hanno una consistenza spettrale: i due bimbi, come si è visto, sono costretti a vivere nel buio, il marito che torna dalla guerra è il fantasma di quel che era prima di partire per il fronte, la servitù si aggira tra lapidi, cimiteri e cimeli del passato con l'allucinata andatura di chi sembra non appartenere al mondo reale.
Finale inatteso
Fino all'epilogo inatteso, con un rovesciamento a sorpresa che richiama per forza e intensità spettacolare - quello di "Il sesto senso" di M. Night Shyamalan: i fantasmi non sono le creature 'invisibili' che hanno terrorizzato gli abitanti della casa, bensì i personaggi che ogni spettatore ha ritenuto fino a quel punto reali. Come dire: "The Others" porta un attacco frontale alla nozione di identità, fa balenare l'idea che gli 'intrusi' non siano quelli che avevamo creduto che fossero e porta lo spettatore a identificarsi, suo malgrado, con l'oggetto dei suoi incubi. Detto in altri termini: 'the others' siamo noi. Noi gli altri, noi gli intrusi. Noi siamo ciò di cui abbiamo paura. Oltre che un efficace rovesciamento di prospettiva sul piano narratologico, l'epilogo di "The Others" rappresenta anche una bella lezione sul piano psicologico e percettivo. Ma non è tutto: il film di Amenábar è, a suo modo, anche un bell'esempio di metacinema, cioè di film che ha il cinema come oggetto metaforico privilegiato. Lo suggerisce in modo evidente una delle più belle battute previste dai dialoghi: 'L'unica cosa che si muove qui è la luce, ma cambia ogni cosa'.
La malattia dei bimbi
Com'è noto a tutti, il luogo in cui si muove solo la luce, cambiando però ogni cosa, è per definizione il cinema. Del resto, come i due figli di Grace costretti a vivere al buio, anche il cinema non può che esistere nelle tenebre, e scompare o finisce quando in sala si accendono le luci.
Forse, metaforicamente, la malattia dei due bimbi protagonisti è la stessa che affligge ognuno di noi in quanto spettatore. Forse, suggerisce Amenábar, anche il cinema è una 'malattia' che ci costringe a vivere nella penombra e a sognare nel buio.