PARLA
CON LEI
Il Corriere della Sera - Paolo Mereghetti - 13/04/02
La grande tentazione dei più recente cinema di Almodóvar
è quella di trasformare i suoi personaggi in "parodiche figure
di un teatro immaginario" (come ha scritto giustamente Adriano Aprà).
Quando sa resistere a queste lusinghe sa darci film belli e intensi, capaci
di scavare dentro i dubbi e i desideri degli spettatori (come Il fiore
del mio segreto, il migliore dai tempi di Donne sull'orlo di una crisi
di nervi); quando cede alla voglia di "teatrino" (come in Tutto
su mia madre) accontenta il pubblico che vuole divertirsi senza retrogusti
amari o tragici. Con Parla con lei siamo in questa seconda categoria,
sfortunatamente con qualche furbizia in più. Alla fine dei film
un'ossuta Geraldine Chaplin sentenzia che 'niente è semplice'.
E in effetti, per due ore, Almodóvar si è sforzato di complicare
una bella storia d'amore tra un infermiere omosessuale e feticista e un
giornalista eterosessuale e giramondo (cioè condannato alla solitudine
sentimentale). Una storia bella perché struggente e senza sesso,
dove - sulla scia della migliore tradizione fantastica - due uomini si
passano il testimone dell'amore per la stessa donna, che è una
ballerina finita in coma per un incidente. Ma questa volta il regista
spagnolo che ha stupito il mondo per la sua spregiudicatezza ha come paura
della materia che si trova tra le mani e ingarbuglia le carte temporali
(con flashback pleonastici), svaria continuamente la linea del racconto
(con una seconda donna in coma), aggiunge facili puntelli culturali (due
esibizioni di Pina Bausch, una di Caetano Veloso) o gratuite esternazioni
cinefile (l'inserto alla maniera dei cinema muto). Troppo e troppo esplicitamente
didascalico, quasi avesse paura di scandalizzare con una storia d'amore
che non rispetta neanche la morte. Peccato, perché questo cinema
anestetizzato e anestetizzante ha ancora bisogno di qualche salutare scandalo.
PARLA
CON LEI
La Repubblica - Roberto Nepoti - 30/03/02
Ormai, nei manifesti, si chiama semplicemente Almodóvar, senza
bisogno del primo nome. Tutti lo conoscono. Il suo cinema è una
certezza, uno dei pochi che sappiano ancora mettere in scena l'amore e
anche i grandi dolori della vita; ma sempre violentandoti con la tenerezza
e strappandoti, di passaggio, più d'un sorriso. La struttura narrativa
di Parla con lei, che fa centro in un "ospedale dei destini incrociati",
è sapiente: configura una sorta di eterno ritorno indicato da tre
didascalie esplicative, che abbinano in tre diverse combinazioni i nomi
dei personaggi principali. Lydia e Marco. Lasciati dai rispettivi partner,
una matadora e uno scrittore s'innamorano; mentre si esibisce nell'arena
la torera viene incornata ed è ricoverata, in coma. Alicia e Benigno.
Un infermiere dello stesso ospedale assiste Alicia, la giovane ballerina
di cui è perdutamente innamorato, anche lei in stato comatoso per
un incidente. Durante le veglie lo scrittore e l'infermiere diventano
amici. Alicia e Marco. Dopo una serie di drammi, i superstiti del quartetto
s'incontrano a teatro: tra loro, si stabilisce come un arcano flusso d'amore.
All'interno dei tre capitoli, la storia si muove avanti e indietro nel
tempo, rivelandoci tratti della vita dei personaggi mediante flashback
di sobria economia narrativa. Se i temi sono dolenti o scabrosi (la maternità
della ragazza in coma), si sente che Almodóvar è diventato
buono. Diversamente dai suoi primi film, quello che mette in rappresentazione
è un mondo sostanzialmente benevolo, senza veri cattivi, con infermieri
dediti al malato e carceri-modello che ospitano non galeotti, ma "internati".
Il male è - per così dire - ontologico, perché la
malattia, la morte, la solitudine appartengono alla vita umana e gli unici
antidoti possibili sono l'amore, la solidarietà, l'amicizia. In
questo senso, Parla con lei è l'ideale prosecuzione di "Tutto
su mia madre", come del resto sottolinea un artificio scenico: l'altro
film finiva con un sipario, questo inizia dallo stesso sipario. Impregnato
di sincera fede nell'amore, il regista non dimentica come si dirigono
gli attori; sembra quasi contagiarli, traendo da un cast di volti semisconosciuti
un potere di convinzione che molte star nemmeno si sognano.
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