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IL CODICE DA VINCI

regia: Ron Howard
Tom Hanks, Jean Reno, Audrey Tautou, Alfred Molina, Ian McKellen, Paul Bettany, Jurgen Prochnow (148')
anno: 2006


A cura di Fabio Sandroni

Con gran baccano mediatico esce nelle sale IL CODICE DA VINCI.
Considerate le polemiche, riteniamo di proporre un’analisi più ampia rispetto alle solite recensioni, per offrire un servizio a chi cerchi un lavoro critico più completo.
Per maggiori informazioni sulle vicende narrate sul libro e nel film, rinviamo al sito del CESNUR (www.cesnur.org).


L’INTRECCIO

Jacques Sauniére è il curatore del Louvre, ma anche il Gran Maestro del Priorato di Sion, ultimo custode del segreto del Santo Graal.
Di notte, nel museo, viene colpito a morte da Silas, un monaco albino (che zoppica a causa del cilicio indossato sotto il saio) sicario dell’Opus Dei. Il vescovo Aringarosa, massimo esponente della prelatura, infatti, vorrebbe impadronirsi del segreto per avere più potere nella Chiesa e per questo ha ordinato a Silas di seguire le disposizioni di un personaggio misterioso e sconosciuto chiamato “il Maestro”, vero mandante degli omicidi.
Prima di morire, Sauniére riesce a lasciare una serie di indizi in codice affinché il segreto non scompaia con lui: i messaggi coinvolgono l’americano Robert Langdom, professore di simbologia religiosa di Harvard.
Il capitano Fache della polizia è certo della colpevolezza di Langdom, ma Sophie Neveu, nipote di Sauniére e crittologa della polizia, intuisce che il proprio nonno non può essere stato ucciso da Langdom.
I due fuggono rocambolescamente per evitare l’arresto e tentano di risolvere gli enigmi lasciati da Sauniére per risalire ai veri assassini.
Sulle tracce di Langdom e Sophie Neveu, oltre alla polizia, c’è il monaco albino Silas, che non esita ad uccidere per raggiungere i suoi scopi, salvo poi autoflagellarsi per espiare le proprie colpe.
La risoluzione di ogni quesito rimanda ad altri enigmi e i due protagonisti devono chiedere l’aiuto di Leigh Teabing, eccentrico studioso inglese, specialista dell’argomento.
I messaggi cifrati, infatti, mettono i due protagonisti sulla pista del Santo Graal che, in realtà, non è la leggendaria coppa in cui venne raccolto il sangue di Cristo, ma il ventre della sposa segreta di Gesù, Maria Maddalena, in cui venne custodito il “Sangue Reale” della sacra stirpe, osteggiata nei secoli dalla Chiesa per proteggere il proprio potere dai veri discendenti di Cristo.
Molti indizi di questa sconvolgente verità sono disseminati nella storia e nelle opere d’arte; in particolare, nell’ULTIMA CENA di Leonardo, il personaggio efebico accanto a Gesù non sarebbe Giovanni ma la stessa Maddalena…
La fuga porta i protagonisti a Londra, ove il loro alleato Teabing si rivela essere proprio “il Maestro” alle cui trame, grazie all’abilità di Langdom, i due riescono a sfuggire.
L’enigma finale permetterà però di capire che proprio Sophie è l’ultima discendente di Cristo e che il segreto del Graal dovrà restare tale, anche se il professor Langdom, forse, ha intuito dove si trovino nascoste le spoglie mortali di Maria Maddalena…


L’ANALISI

L’incipit è cinematograficamente efficace. Con un montaggio alternato tra la morte del custode del segreto del Priorato di Sion e la conferenza di simbologia del protagonista Robert Langdom, vengono presentate tematiche e personaggi. In questa sequenza sono evidenti le operazioni di “manipolazione” che pervadono la pellicola, ma si lascia anche intendere che nelle immagini chiunque vede ciò che vuol vedere… Attraverso la rappresentazione della proiezione alla conferenza di diapositive ed utilizzando quindi l’espediente dell’immagine nell’immagine, si allude a ciò che il RACCONTO proporrà: solo un “allargamento” del punto di vista può determinare la necessaria rivisitazione delle simbologie rispetto alla valenza assegnata loro dall’attuale contesto culturale.

Poi il film perde colpi, il ritmo diviene discontinuo. Il racconto procede con vistosa irregolarità dovuta all’alternarsi di rallentamenti eccessivi e improvvise ellissi e velocizzazioni. Spesso lo spettatore rischia la noia, come durante le verbose spiegazioni fantastoriche centrali. Talvolta fatica a collegare gli informanti dello schermo.
Nel film il narratore relega lo spettatore in un ruolo di osservatore accondiscendente: non gli permette di partecipare allo scioglimento degli enigmi, ma solo di assistere alla ricerca dei protagonisti, e senza comprendere del tutto… a meno che non abbia già letto il libro. Una scelta che, se ben perseguita, è piu’ adatta agli action movie che ai thriller.
Spesso il ritmo accelera per coprire vistose lacune di sceneggiatura (come arrivano Langdom e l’agente Neveu al Bois de Boulogne? E come raggiungono poi la banca? Perché Teabing ha coinvolto il suo maggiordomo Remy, visto che meno persone sanno chi sia il “maestro” meglio è per lui? Come arriva Teabing alla Westminter Abbey? E perché un così importante monumento Londinese è vuoto?...)
I collegamenti mancanti vengono ricostruiti da molti solo ricordando il romanzo di Dan Brown…
Un film, quindi, che pare realizzato per celebrare il libro (e sfruttarne il successo) di cui segue pedissequamente le orme, anche a scapito dell’equilibrio dell’opera.
Non mancano alcune scene riuscite, in cui però è evidente l’ambiguità dell’operazione. Come per i flashback raccontati tutti con l’uso di un digitale in parte desaturato. Usando lo stesso codice espressivo sia per i ricordi (che hanno in ogni film di per sé una notevole forza di verità) sia per le ricostruzioni storiche, si associa a queste ultime la stessa impressione di esperienze vissute che hanno i primi.
Alcune delle soluzioni visive adottate da Ron Howard, per esempio quella per narrare lo scioglimento degli anagrammi, anche se efficaci, non hanno nulla di nuovo (già viste in A BEAUTIFUL MIND).

I personaggi non hanno spessore, costruiti attraverso una serie di stereotipi e usando in modo troppo sommario e veloce i flashback, che perciò risultano insufficienti a definirne una storia personale.
I loro cambiamenti, solo abbozzati, li appiattiscono al semplice ruolo di maschere.
Forse il solo Silas (e in parte anche Teabing) si stacca. Si pensi alla sua graduale presentazione nella sequenza di apertura: prima evocato come minaccia dalla musica, poi messo in scena con la sua ombra, successivamente messo in inquadratura con la sagoma incappucciata e solo alla fine viene scoperto il suo volto in primo piano.
A lui è dedicata un’altra scena riuscita, in cui il film tradisce la sua logica manipolativa: quella dell’autoflagellazione. Costruita con primi piani e dettagli, è efficace nel delineare un “cattivo” abbastanza suggestivo da conferire risalto per contrasto ai diafani protagonisti, secondo un meccanismo che nulla ha di nuovo sia nel Cinema che nella Letteratura di genere. In definitiva quasi tutti i personaggi sono risolti sommariamente per cui gli attori risultano a disagio nella loro parte: e si vede.
Una sottolineatura: i cattivi tra di loro parlano in latino. Anche questa scelta appare inutile all’economia della storia, ma solo ad associare ulteriormente – a livello di racconto - i loro intrighi alla lingua tradizionale della Chiesa.
Malgrado ciò il film tenta, specie nel finale, in parte di scagionare la Chiesa ufficiale, attribuendo responsabilità più agli individui o ad organizzazioni infiltrate… Ma il modo di sciogliere questi nodi appare se non altro confuso.

La colonna sonora non aggiunge significati, ma è solo di rinforzo emotivo.

In definitiva un brutta sceneggiatura, con una regia non all’altezza della fama del regista, che si riscatta solo in alcune scene, come la conclusione, veramente efficace nel generare una vertigine nello spettatore con un lento movimento di MdP in plongée fino a collimare le due piramidi del Louvre seguito da un tuffo in un improbabile carrello attraverso le superfici vetrate verso i sotterranei del museo per scoprire la tomba nascosta della Maddalena, il tutto sostenuto dall’intensificarsi del tema musicale.
Una scelta visivo-narrativa che ben rappresenta – nella logica discutibile del racconto - il forte disorientamento culturale del ritrovamento.

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