regia:
James McTeigue
Hugo Weaving, Nathalie Portman, Stephen Rea, John Hurt, Stephen Fry (132’)
anno:
2006
In un futuro alternativo dove la Germania ha vinto la Seconda Guerra Mondiale estendendo il nazismo in Europa, un misterioso rivoluzionario ribelle, a Londra, tiene in scacco le forze occupanti compiendo atti di terrorismo. Sceneggiatura di Andy e Larry Wachowski (trilogia di Matrix) basata su un fumetto di Alan Moore e David Lloyd, già ampiamente vezzeggiati dalla produzione cinematografica (La leggenda degli uomini straordinari; La vera storia di Jack lo Squartatore). Azione, avventura, tecnologia e cappa e spada, Ciaikovski e tritolo in un mix para orwelliano che intriga i più giovani e scuote appena i più scafati cinefili malgrado la “prima” alla Berlinale.
I fratelli “Matrix” Wachowski firmano la sceneggiatura di questo film basato su un fumetto di Alan Moore e David Lloyd - il primo ha disconosciuto il film, si dice non soddisfatto delle precedenti trasposizioni Hollywoodiane dei suoi fumetti: “La leggenda degli uomini straordinari”, “La vera storia di Jack lo Squartatore” - e affidano la regia all’australiano James McTeigue, già nell’equipe della “Trilogia di Neo” come aiuto regista. Il film narra di un regime fascista e totalitario comandato dal cancelliere Sutler (John Hurt, già Winston Smith nel “1984” di Radford, basato dall’omonimo romanzo di Orwell), che tiene il popolo inglese perennemente in stato di allerta e paura manipolando le notizie a suo tornaconto e disseminando la città di agenti col compito di arrestare chiunque non rispetti il coprifuoco. Un uomo che si fa chiamare V (Hugo Weaving, lui invece agente Smith in “Matrix” – probabilmente gli Wachowski si divertono ad invertire i ruoli giocando tra diversi piani di finzione e realtà) e che indossa una maschera di Guy Fawkes (uno che nel 1605 voleva far saltare il parlamento), decide di combattere contro questo sistema di cose e si fa aiutare da Nathalie Portman (sempre bellissima anche con la pelata): tanto per cominciare, faranno saltare la Statua della Giustizia e il Tribunale Penale.
V parla come un damerino settecentesco, cita a memoria Shakespeare, ascolta Ciaikovskij mentre fa saltare i ministeri, è un ammiratore dei film di cappa e spada - il suo preferito è “Il Conte di Montecristo” con Robert Donat, 1934 - prepara strepitose uova in camicia sopra fette di pane imburrato e non si toglie mai la maschera, nemmeno quando indossa il grembiule da cucina. Purtroppo nonostante la simpatia del personaggio il film non convince del tutto, è anzi appesantito da una scrittura cerebrale e prolissa (anche se con picchi di intenso lirismo, merito anche delle musiche onnipresenti), da un regia che sta troppo addosso ai protagonisti per risparmiare sulle scenografie (non certo per motivi di soldi, siamo a Hollywood). Siamo lontani da un’idea estetica di un futuro prossimo, ma le intenzioni non sono nemmeno queste del resto: sembrerebbero piuttosto, (alla stregua di Syriana, con le dovute differenze, beninteso), quelle di prendere di mira l’attualità trasfigurandola nel peggiore dei mondi possibili (l’epidemia che nel film ha causato la morte di milioni di persone è ordita artatamente dal Governo a insaputa del popolo, e fa pensare all’idea diffusa su Internet che dietro l’11 settembre ci sia lo stesso governo americano), compresa la denuncia ai media, sempre più al servizio del potere e sempre meno preoccupati di diffondere la verità. Particolarmente significanti, a questo proposito, le scene in cui le persone davanti alla tv si preoccupano di decodificare quanto di vero ci sia in ciò che viene loro propinato giornalmente. V è l’incarnazione eroica e romantica dell’uomo che metterà fine a tutto questo sollevando le coscienze e disvelando le menzogne, nonché eliminando ad uno ad uno i cosiddetti cattivi membri del circolo elitario dei Ministeri. Ma il Grande Fratello di Orwell è altra cosa, e io non smetterò mai di consigliarne la lettura.