Trama:
Racconto doloroso e dettagliato dell'esistenza in un campo di concentramento attraverso lo sguardo di Gyuri, un giovane ebreo ungherese. Dopo la deportazione del padre in quelli che sono creduti semplicemente campi di lavoro, anche Gyuri viene rastrellato sull'autobus che lo sta portando a scuola. Dopo un periodo passato ad Auschwitz, viene spostato a Buchenwald, dove viene perseguitato da un kapò ungherese e dove inizia la sua routine di fatica, dolore, sottomissione e degrado: perde i lunghi riccioli neri, dimagrisce progressivamente, spala sassi, trasporta sacchi pesantissimi, si lava di rado, contrae la scabbia, gli va in cancrena un ginocchio, è costretto a dormire vicino ai moribondi e a passare intere giornate in piedi, al freddo o sotto la pioggia. Eppure riesce a non "perdere se stesso" - come dirà una volta uscito dal lager, prelevato per miracolo da una fossa comune dalle truppe alleate - né il contatto con la realtà. Una realtà fatta anche di piccole astuzie per sopravvivere e di momenti che definisce "piacevoli"...
Critica:
"Un ragazzino di buona famiglia che non sa niente della vita la scopre nel posto più lontano dalla vita che si possa immaginare: un lager nazista. E' il soggetto solo apparentemente paradossale di questo film tratto dal romanzo autobiografico del premio Nobel ungherese Imre Kertész. 'Tutti mi chiedono soltanto dell'orrore', dice il giovanissimo György quando torna a Budapest miracolosamente scampato alla morte, 'ma è della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare'. Nel film naturalmente questa felicità non c'è, non si vede, ma la si intuisce nei vuoti che il grande cineoperatore Lajos Koltaj, qui regista, lascia sapientemente fra le immagini studiatissime di un film fatto non solo di momenti forti ma di sguardi, silenzi, interstizi. (...) E' un modo del tutto diverso di affrontare la questione Shoah (lo stesso Kertész, che preferisce di gran lunga 'La vita è bella' al troppo fittizio 'Schindler's List', ha esitato a lungo prima di adattare il suo romanzo per lo schermo). Peccato che la musica di Morricone, così sentimentale, sia per una volta del tutto inadeguata. Ma il film è una vera sorpresa. Un viaggio al termine della notte che si chiude su una luce fioca e insieme penetrante. Per chi sappia e voglia vederla, naturalmente." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 26 gennaio 2006)
"Dal romanzo dell'ungherese Imre Kertész, premio Nobel che ha dedicato la vita alla Shoah, diretto dal candidato all'Oscar Lajos Koltai, direttore di fotografia di Szabò e Tornatore, musicato con ardore da Morricone, interpretato da un giovane, Marcell Nagy, trovato sulla via Paal televisiva, il film è una testimonianza sugli orrori dell'Olocausto. Oleografico perché non sempre arriva nel fondo dell'angoscia ma si ferma alla sua rappresentazione, è diverso: la vittima, nonostante gli orrori, sopravvive e cerca di ricordare il "positivo" di quella mostruosità. È sempre utile ricordare, ci vorrebbe, di questi tempi, non un giorno, ma un anno di molte Memorie." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 27 gennaio 2006)
"Il film di Lajos Koltai (debuttante come regista, già direttore della fotografia di grande livello: per esempio di Tornatore per 'La leggenda del pianista sull'Oceano') sceglie uno sguardo giustamente attonito, impassibile perché le cose, i volti, le situazioni parlano da soli, per trasferire sullo schermo l'autobiografica odissea di Gyuri: tra i rituali familiari anteguerra di un tradizionalismo ebraico indifeso e inconsapevole, quelli della quotidiana sopravvivenza nel lager, e l'infastidita indifferenza che il ragazzo con la divisa a strisce e il marchio sulla pelle trova tornando a casa." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 27 gennaio 2006)
"'Senza destino' ('Fateless'), in concorso un anno fa a Berlino, ritorna sul tema dell'Olocausto in coincidenza con le celebrazioni della Giornata della memoria. Purtroppo, preso da un punto di vista specifico, il film è solo un'ennesima illustrazione enfatizzata dalle musiche di Morricone e funestata da una regia senza scatti degni di nota. Stabilendo che la nobiltà del tema procuri a prescindere un salvacondotto d'autore, ci sarebbe poco da disquisire: ma siccome esistono decine e decine di precedenti - tra cui 'Schindler's List' e il recente 'Il pianista' - era lecito attendersi una visione meno stereotipata, prevedibile e pretenziosa. Fotocopiata dal romanzo autobiografico del premio Nobel Imre Kertész ('Essere senza destino', Feltrinelli ed.), la superproduzione europea si è affidata a Lajos Koltai che, peraltro, non fa molto per dimostrarsi degno della promozione ossia maturato rispetto all'onorata carriera di direttore della fotografia." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 28 gennaio 2006)
IMRE KERTESZ NEL 2002 HA RICEVUTO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA. - E' IL PRIMO FILM UNGHERESE GIRATO IN PANAVISION.