regia:
Claude Chabrol
Benoît Magimel, Laura Smet, Aurore Clément, Bernard Le Coq, Solène Bouton, Anna Mihalcea . (111’)
anno:
2004
Philippe, agente commerciale scapolo ed introverso perde la testa per una giovane e conturbante ragazza conosciuta al matrimonio della sorella. Lei brucia i tempi, lo seduce raccontandogli il suo passato burrascoso ai limiti della legalità e della morale e come prova d’amore gli chiede un omicidio… Attingendo ancora una volta dalle pagine della prolifica scrittrice Ruth Rendell (questa volta tocca al romanzo: The Bridesmaid), come era successo per la penultima fatica: Il buio nella mente, il più cattivo fra i “Grandi Vecchi” del Cinema d’oltralpe, costruisce un ineffabile labirinto narrativo in cui gioca a rinchiudere lo spettatore. Dopo le frustrate proletarie assassine di La cérémonie e la raffinata avvelenatrice di Grazie per la cioccolata, ancora una volta orrore e follia hanno il volto sensuale di una donna, l’inquietante Laura Smet in un’interpretazione da brivido. Chabrol si diverte a spiazzare continuamente lo spettatore, inanellando inganni e false piste per mantenere il controllo sulla narrazione e costringere quest’ultimo ad intraprendere un viaggio inquietante nelle pieghe della psiche dei personaggi. In questo senso assumono un preciso significato gli ambienti in cui questi sono ripresi, ambienti, arredi e luoghi che amplificano e rivelano la sostanza di chi li vive un po’ come avviene nel racconto Il crollo della Casa degli Usher di Edgar Allan Poe. Grande cura per l’inquadratura e per la messa in scena minuziosa e maniacale (pittorici tagli di luce; attrezzeria e costumi che assecondano una scelta cromatica legata ai toni freddi); ritmo del montaggio pacato ed inesorabile sotteso ad uno “sguardo in macchina” sornione e felino.
Trama: Philippe vive con la madre e le sorelle in un tranquillo quartiere di periferia. Durante il matrimonio della sorella rimane colpito da Senta, la damigella d'onore, una ragazza misteriosa e molto passionale. Philippe se ne innamora perdutamente fino a perdere tutte le sue certezze...
Critica: "Forse è il caso di riconoscere finalmente, sul piano di una revisione critica della Nouvelle Vague, che Chabrol viene collocato in una nicchia troppo inferiore. Godard sarà un dio e Truffaut una leggenda, ma il loro copain (il quale nel 1958 aprì la strada a tutti con 'Le beau Serge') è un instancabile narratore di storie che parafrasando i sacri modelli dell'adorato Hitchcock sa riscattare con tocchi autoriali la banalità del film di genere. Di rado premiato in quanto commerciale, Chabrol è in realtà un benemerito contrabbandiere del cinema-cinema nel grigiore dei programmi da festival. Interpretato dal bravo Benoît Magimel in coppia con la diabolica Laura Smet, 'La damigella d'onore' si assapora senza mai guardare l'orologio." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 8 settembre 2004)
"Profondo nero, il maestro Chabrol colpisce ancora. E inchioda alla poltrona il pubblico della Mostra in un crescendo di inquietudine, mistero, angoscia, sorprese. Silenzio in sala, la tensione si taglia col coltello. Poi, con i titoli di coda, esplode l'ovazione. 'La damigella d'onore', ispirato a un romanzo di Ruth Rendell, realizzato con una partecipazione italiana e proiettato fuori concorso, è un film rigoroso e impeccabile che, come sempre accade nelle opere di Chabrol, va al di là del genere e fin dalle prime immagini ha il sapore dell'evento. (...) A queste domande rispondono una sceneggiatura a prova di bomba, la regia capace di caricare di angoscia anche i dettagli secondo la migliore tradizione di Hitchcock, la fotografia notturna di Eduardo Serra e l'interpretazione adeguata di Laura Smet, Benoît Magimel, Aurore Clément nel ruolo di una parrucchiera di provincia." (Gloria Satta, 'Il Messaggero', 8 settembre 2004)
"Al top d'intelligenza, di classe e di gusto simenoniano per i dialoghi, i caratteri e gli ambienti, 'La demoiselle d'honneur' è un Chabrol d'annata, uno di quei film che hanno qualcosa da dire anche al di fuori del circo autoreferenziale. Maniaco del dettaglio narrativo, dell'arguzia descrittiva e della geometria di messinscena, il veterano allievo dichiarato di Hitchcock traspone da par suo il romanzo 'The Bridesmaid' della grande scrittrice inglese Ruth Rendell, intrecciando erotismo e turbe psichiche, delitto e noir societario. (...) E' chiaro che 'La demoiselle d'honneur' non è fatto per chi cerca effetti supervoltati o timbri artistici a caratteri cubitali, bensì per chi prova godimenti ineffabili nel rubare i risvolti più significativi del mondo all'accuratezza del raccordo, alla delicatezza del passaggio, all'essenzialità dello scorcio, all'eloquenza dell'espressione e dei gesti. Esattamente ciò che fa venire voglia di rivedere subito il film, perché la doppia identità tra sesso perturbante e vibrazioni di follia della protagonista ha già preso posto nell'immaginario al di là delle occorrenze del mestiere." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 8 settembre 2004)