regia:
Wong Kar Wai, Steven Soderbergh, Michelangelo Anto
Gong Li, Chang Chen, Robert Downey jr. Alan Arkin, Ele Keats, Christopher Bucholz, Luisa Ranieri, Regina Nenni (104').
anno:
2004
Un film in tre episodi. Nel primo, La mano, ci troviamo nel 1963 a Shanghai, dove un apprendista sarto si innamora della perfezione del corpo di una prostituta d’alto bordo. Equilibrio, il secondo, sposta l’asse geografico e temporale sino alla New York del ’55, dove in una seduta psicanalitica un pubblicitario cerca di venire a capo di una sua ossessione. L’ultimo, Il filo pericoloso delle cose, ci porta all’oggi: in un sospeso paesaggio toscano una coppia tenta di ravvivare il ménage. Tre quadri, tre frammenti per raccontare l’Eros, la passione, la carnalità, il trasporto dei sensi. Difficile dare un giudizio unico su un’opera (una?), così difficilmente catalogabile per la distanza abissale fra le sue componenti. L’episodio di Wong Kar-wai, La mano, si offre allo spettatore occidentale come una colta variazione sul tema del precedente In the Mood for Love; ne risultano 39’ di eleganza formale, fotografia ineccepibile, taglio retró delle luci, interpreti notevoli, gestualità morbide e seducenti riprese da avvolgenti movimenti della macchina da presa. Equilibrio, del genialoide Steven Soderbergh, è un divertito giochetto psicologico, ben girato (due attori “in parte”, alternanza fra colori e bianco-nero “d’epoca”, luci e ombre che rimandano all’immaginario cinematografico degli anni ’50, ironia che sfocia nel comico), tuttavia ad essere fuori fuoco è il tema. Le dolenti note arrivano con Il filo pericoloso delle cose, sceneggiatura di Tonino Guerra e Michelangelo Antonioni che firma anche la regia. Dovrebbe essere la riflessione finale, il messaggio chiarificatore, il significato di tutta l’operazione… Non lo è e, per di più, risulta proprio il picco più basso di tutto il film. 30’ di dialoghi e situazioni incoerenti ed imbarazzanti (per carità, molto ben fotografati), di cui poco si afferra il senso.
Daniele Sesti (filmup) In programma fuori concorso alla 61ª Mostra del cinema di Venezia, "Eros" si compone di tre episodi firmati da Wong Kar Wai, Steven Soderbergh e Michelangelo Antonioni.
Tema dei tre capitoli è l'erotismo. Film fortissimamente voluto dal regista italiano che ha trovato in Soderbergh un entusiasta sostenitore e nel regista di Honk Kong un'adesione incondizionata.
Il primo episodio - diretto da Kar Wai - dal titolo "La mano" parla di Xiao Zhang (Chang Chen), un sarto apprendista che diventa il preferito di un'avvenente prostituta d'alto bordo (Gong Li). Appassita la bellezza della donna, solo Chang le resterà fedele e vicino fino alla tragica fine.
Il secondo episodio - firmato da Steven Soderbergh - si intitola "Equilibrium". È la storia di un pubblicitario (Robert Downey J.) ossessionato da un sogno ricorrente nel quale scorge una donna che conosce ma di cui non ricorda l'identità una volta sveglio. Durante la sua prima seduta di analisi, lo psicoanalista (Alan Arkin), a sua volta, è distratto da una donna che vede dalla finestra dello studio.
Il terzo momento è girato da Antonioni. Dal titolo "Il filo pericoloso delle cose", narra di una coppia in crisi (Christopher Bucholz e Regina Nemni) in vacanza. Lui incontra una giovane donna (Luisa Ranieri) con la quale brucia un appassionato rapporto. Alla fine, misteriosamente, le due donne si incontrano su una spiaggia.
Dei tre episodi, il più compiuto è quello di Kar Wai. Il regista di "Happy Together" e "In the Mood for love", grazie anche ad una conturbante quanto brava Gong Li, confeziona un piccolo gioiellino che affascina per eleganza e raffinatezza. La storia del sarto fedele alla sua padrona appassiona e commuove. Più cervellotico - ma anche umoristico - il cortometraggio di Soderbergh che usa alternativamente il bianco e nero ed il colore per sottolineare la differenza tra i momenti reali e quelli onirici. Il finale è il momento migliore dell'episodio. Infine, l'episodio di Michelangelo Antonioni - a cui questo film vuol anche essere un omaggio. Il tema dell'incomunicabilità, sempre presente nelle sue opere, affiora prepotentemente e alcune inquadrature sono da antologia. Ma la recitazione scadente degli attori e la scarsa incisività della storia sviliscono questa prova.
A congiungere i tre episodi ci sono gli onirici disegni di Lorenzo Mattotti ed una splendida canzone di Caetano Veloso dal titolo "Michelangelo Antonioni", assolutamente da non perdere (e, tutto sommato, la cosa migliore del film...).