Una donna di mezza età scopre che il marito, scomparso da vent’anni e creduto morto, vive in un piccolo paese sul mare a sud dell’Argentina. Si mette in viaggio con la figlia, che non ha mai conosciuto il padre, e una bambina avuta da un’altra relazione. Insieme cercheranno di capire ed offrire all’uomo una nuova famiglia. Regista misconosciuto nel Vecchio Mondo, Alejandro Agresti (regista, sceneggiatore, attore, produttore e direttore della fotografia) ha un curriculum di tutto rispetto ed una posizione invidiabile all’interno della cinematografia latino-americana. Il tema della famiglia ritrovata è quasi un leitmotiv nella sua cospicua produzione e, anche in quest’ultima realizzazione ne diventa la suggestione portante. Sullo sfondo di un’Argentina uscita a pezzi da crisi politiche, economiche e sociali (molto simbolica, in questo senso la scelta del set: un anonimo luogo di mare, un non-luogo, in cui sorge una piccola comunità umana circondata dal nulla), si muovono personaggi ridotti a solitudini esistenziali che hanno rinunciato a rattoppare i frammenti della vita. Ma esiste una possibilità di salvezza,che arriva dai sentimenti più semplici: la complicità quasi adolescenziale dei vecchi, l’amicizia, la forza di sognare, l’affetto dei congiunti. Utilizzando un linguaggio semplice (ma non semplicistico), tutto giocato su dilatazioni temporali, attese, silenzi, campi lunghi, piano piano il regista ordisce nella trama le sue istanze personali, dando alla fine, un significato più universale all’opera concepita. In questo senso va letta la chiusa finale, la battuta che rimanda al titolo originario del film (quello in italiano è purtroppo fuorviante): “Anziché cercare di migliorarlo, questo mondo non basterebbe cercare di renderlo meno peggiore?”