Due fratellini vagano per le strade di Kabul. Il padre, ricomparso dopo cinque anni di assenza, è in prigione come talebano; ciò non gli ha impedito di far finire in carcere, con l’accusa di bigamia, anche la madre dei due bimbi, che credendolo morto si era risposata. I due piccoli cercano di farsi arrestare per stare accanto alla madre… L’impero cinematografico della famiglia Makhmalbaf si arricchisce di una nuova entrata: la moglie di Moshen, Marziyeh Meshkini, madre delle talentuose Samira e Hana e del giovane Maysam, direttore della fotografia e qui produttore… Al di là della furbesca strategia imprenditoriale dell’autore di Viaggio a Kandahar va detto che il prodotto in esame è un piccolo e azzeccato omaggio al neo-realismo di Ladri di biciclette per denunciare la situazione ai limiti della sopravvivenza in cui versano i bambini afghani. Giocando ad asciugare sino all’essenziale ogni velleità estetizzante ed ogni orpello intellettuale, la regista di Teheran fotografa un mondo “alla rovescia”, dove gli innocenti sognano la prigione, i cani entrano gratis al Cinema – ma solo quando si dà un “film d’arte” - , i libri salvano la vita in quanto materiale combustibile… Macchina da presa fissa, lunghe panoramiche, insistenza di campi lunghi e primi piani, utilizzo di attori presi dalla strada, rimandano ai tòpoi della cinematografia mediorientale, cui molti validi prodotti, in questi ultimi anni, ci hanno abituato. In più si riscontra una felice propensione per il tragicomico, grazie ad una sceneggiatura ben fatta e a una sapiente calibratura dei dialoghi e delle battute (alcune irresistibili, come quella sul Cinema americano che può tornare utile a chi volesse imparare a rubare, mentre quello europeo è fondamentale per imparare ad essere catturati).