Tulse Luper é Greenaway stesso. Apparso brevemente in "The falls", Tulse diventa finalmente protagonista assoluto di una vicenda che attraversa settanta anni di storia, dalla prima guerra mondiale al crollo del muro di Berlino nel 1989. Una trilogia, di cui questa è la prima puntata, che finisce appunto con la didascalia 'continua...'. Appassionato di numeri, di oggetti da collezione, di un accumulo enciplopedico di suggestioni espressive, Greenaway può affermare di non amare il cinema e quindi sentirsi autorizzato a stravolgerlo, a rovesciarlo, a rendere ora sgradevole ora irritante ora affascinante la composizione del singolo fotogramma. Enigmatica e sguaiata, la visione del regista è fatta di uno schermo frantumato, di sovrapposizioni, di ripetizioni formali e verbali. Nel caleidoscopio di un'estetica bloccata dai giochi dei simbolismi (quasi anagrammi), l'idea di senso è forse quella dell'assurdo. Certe volte in grado di farci interrogare sullo svuotamento della parola, sui pericoli dell'annullamento della comunicazione, in certe altre la replica va a coprire un vuoto di ispirazione e svela il narcisismo dell'autore. Resta però la sensazione di un cinema modificato, dispersivo, ermetico ma fase di passaggio per il recupero di un linguaggio che sia specchio di errori, debolezze, speranze. (ACEC)
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