Piccole storie quotidiane si intersecano sul filo della memoria con la Storia del passato. Lo scontento del Duemila e il dramma del Novecento in un delicato affresco dallo stesso autore de Il bagno turco, Harem-Suare, Le fate ignoranti. Ozpetek racconta senza abbandonarsi ad enfatizzazioni o decadenti estetismi un percorso di maturazione personale all’interno di una famiglia “normale” (quanto siamo distanti dagli eterni Peter Pan di Muccino!). Il valore dell’ascolto, della speranza, del non arrendersi alla “sopravvivenza” donano alla già ricca tavolozza di questa pellicola, sfumature piacevoli e ricercate.
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Storie che si incrociano, percorsi quotidiani (la spesa, i figli, il lavoro, i turni, gli orari sempre affannati…) che si intersecano con la memoria (il ghetto di Roma, un omicidio, i rastrellamenti nazisti, un amore clandestino…) senza enfasi né nostalgie estetizzanti, ma in modo naturale, verosimile. Eppure profondo, non banale. Finalmente una storia di famiglia contemporanea dove trovano posto certi frammenti di tenerezza faticosamente conquistati insieme, dove c’è uno spazio per la maturazione personale che passa anche attraverso la rinuncia (che parolaccia!), dove ci sono un padre e una madre giovani ma in uscita dagli stereotipi dell’eterna adolescenza tanto di moda, dove un anziano (un grande Massimo Girotti, nei panni di un artista della pasticceria colpito da un'amnesia intorno alla quale ruota tutto il film) “attualizza” a modo suo il passato e lo rende fonte di futuro per chi sa ancora imparare da lui. E quando si apre la porta sulla tavola apparecchiata con le sue torte, una nuova occasione di gusto e “dolcezza” si prospetta davanti a Giovanna, la protagonista, i cui occhi, che permangono a lungo , aperti, sullo sfondo dei titoli di coda, diventano l’ultima, vera “finestra di fronte” allo spettatore.