regia:
Sam Mendes
Tyler Hoechlin, Tom Hanks, Paul Newman, Daniel Craig, Jude Law, Stanley Tucci, Jennifer Jason Leigh. (119’)
anno:
2002
Il regista di American Beauty, prendendo spunto dall’omonimo romanzo di Max Allan Collins “Road to Perdition”, compone un gangster movie che sconfina nell’epic, passando per l’on the road: un trepidante racconto di formazione narrato in prima persona che segue la storia di una terribile vendetta e di un percorso di salvezza. Incontro-scontro fra padri e figli, affetti del cuore e necessità della vita, afflato di redenzione pur nell’immobilità del peccato; il tutto nella cornice mitica dell’America anni Trenta (fortemente ispirata a Leone e Scorsese) coi gangster in doppiopetto gessato e le devastazioni fisiche e morali apportate dalla Grande Depressione. Girato nella bella fotografia di Conrad L. Hall (lo stesso che aveva fatto vincere uno degli Oscar ad American Beauty), il film di Mendes si apprezza per il gusto barocco del taglio delle inquadrature, per l’uso sapiente dei chiaroscuri e delle luci di taglio che immergono nell’ombra le figure “nere” dei personaggi.
Killer al soldo della famiglia mafiosa che l’ha cresciuto come un figlio, ma anche padre e marito affettuoso, dichiara una disperata guerra personale dopo aver subito il massacro della propria moglie e del figlioletto più piccolo. Nella fuga lo accompagna il primogenito. Trentaquattro anni, laureato a Cambridge e già da tempo affermato regista teatrale, nel 1999 Sam Mendes brucia le tappe della carriera cinematografica e fa messe di premi con il celebrato American Beauty. Logico che la sua seconda prova dal privilegiato trampolino di Venezia fosse attesissima dal pubblico e dalla critica internazionale. Prendendo spunto dall’omonimo romanzo di Max Allan Collins, David Self trae una sceneggiatura che ha dell’epico, incentrata com’è sull’incontro-scontro fra padri e figli, affetti del cuore e necessità della vita, afflato di redenzione pur nell’immobilità del peccato. Il tutto nella cornice mitica dell’America anni Trenta, coi gangster in doppiopetto gessato e le devastazioni fisiche e morali apportate dalla Grande Depressione. Ne esce un trepidante racconto di formazione in prima persona, che sfrutta altresì gli stilemi di un altro genere, quello del viaggio, dell’on the raod movie. Girato nella bella fotografia di Conrad L. Hall (lo stesso che aveva fatto vincere uno degli Oscar ad American Beauty), il film di Mendes si apprezza per il gusto barocco delle inquadrature, per l’uso sapiente dei chiaroscuri e delle luci di taglio, che immergono nell’ombra le figure “nere” dei personaggi – e tanto più si apprezza il lucore abbacinante della sequenza risolutiva finale. Ed ancora per l’intrusione quasi fumettistica alla Dick Tracy del killer-mostro, interpretato da un sempre più bravo Jude Law: una frecciata, un sottile ammiccamento ad una certa informazione, ad un certo Cinema che prova piacere nel fotografare la morte. Splendida prova di recitazione per il duetto Paul Newman-Tom Hanks, che tratteggiano due figure memorabili, attraversate da mille sfumature emotive, tragiche, crudeli, accattivanti e pietose al tempo stesso.