Lola, quattordici anni, trapezista in un circo dell’est, non avendo l’affetto dei genitori, si lega ad un cucciolo d’orso al quale continuamente confida i propri turbamenti, finché il cucciolo non cresce e, una notte, si trasforma in un ragazzo… Sergej Bodrov, cineasta diplomato all’Istituto Statale per la Cinematografia in Russia, più di trenta sceneggiature al suo attivo, considerato fondatore della “nouvelle vague” kazaka e attualmente visiting professor nelle più importanti università del mondo, porta a Venezia questa pellicola insolita attirandosi gli strali di gran parte della critica, per una volta quasi unanime nel bocciarla come “uno dei film più brutti della Mostra”. Gli elementi di scandalo riguardano proprio le scelte di una sceneggiatura volutamente piena di “buchi” e di non detto, e ancora il fatto che una storia di fantasia e surrealismo puro si sposi con una naturalezza che sembra fuori luogo, un iperrealismo visivo e sonoro che sembra rimandare a certo Cinema d’oltreoceano. In effetti, i paesi coinvolti nella produzione sono parecchi eppure l’anima russa, con quel gusto quasi fanciullesco per la fiaba, rimane inalterata; inoltre, pian piano emerge una suggestione vagamente felliniana (complice, forse, l’ambientazione circense, che qui, però è riferimento etnico e culturale, con un’aura più cruda, violenta e, in definitiva, meno accattivante). Abbastanza lineare, dal punto di vista narrativo (a parte alcuni flashback), il film, da un certo punto in poi assume quasi le connotazioni di un on the road movie in cui il viaggio attraverso le terre d’Europa e la successiva fuga verso la Russia diventano motivi di crescita interiore per i due protagonisti, nella consapevolezza che solo l’amore riesce a superare le barriere fisiche e psicologiche di un mondo che sembra aver perso il contatto con la realtà naturale delle cose.