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SWING

regia: Tony Gatlif
Oscar Copp, Lour Rech, Tchavolo Schmitt, Madino Reinhardt. (90’)
anno: 2001


Max, dodici anni, figlio unico con la passione per la chitarra e il jazz, si avvicina, grazie alle lezioni del maturo Miraldo, alla musica e alla cultura gitana. Un giorno, nel giro dei suonatori manouche, incontra Swing, ragazzina coetanea; inizia un’amicizia… Realizzato con il sostegno della Regione Alsazia e della Commissione del Cinema di Strasburgo, Swing è una pellicola affettuosa e delicata costruita sul trinomio vincente: Musica, pre-Adolescenza, Amicizia. In concorso al Festival di Berlino 2002.


RASSEGNA STAMPA

“Swing”, l'ultima fatica del regista gitano nato ad Algeri, Tony Gatlif, è un film che segue due fili narrativi precisi: l'educazione sentimentale di due adolescenti, e il tributo tutto musicale allo swing dei Manouche, i nomadi del ceppo zingaro più antico che dall'Europa orientale si spostarono in occidente e che negli anni '30 inventarono un modo nuovo di fare swing (detto anche gipsy jazz), legato alla tradizione afroamericana ma con una connotazione fortemente europea.

Un'estate, il giovane Max viene spedito dalla madre a Strasburgo a casa della nonna. Il ragazzo ha le idee chiare: nelle vicinanze c'è un campo nomadi Manouche e questo rappresenta un'occasione unica per imparare a suonare la chitarra prendendo lezioni da Miraldo, interpretato dal grande chitarrista tzigano Tchavolo Schmitt, e che richiama, anche in senso biografico, la figura leggendaria di Django Reinhardt, colui che inventò lo swing manouche e che ricordiamo nel film di Woody Allen, “Accordi e disaccordi”, come il chitarrista che faceva impazzire di gelosia il musicista immaginario interpretato da Sean Penn.

Il tramite che aiuta Max, prima a comprare una chitarra da Mandino Reinhardt (altro grande musicista e nipote di Django Reinhardt), e poi a entrare nella roulotte di Miraldo e convincerlo a impartirgli le lezioni, è la zingara-manouche Swing, ragazzina dal carattere forte e pieno di vitalità. Max così si appassiona sempre più alla cultura musicale tzigana, ma nel frattempo scopre qualcosa di ancor più forte, l'amore per Swing.

Il fatto che si sia immediatamente sottolineata la doppia intenzione narrativa di questa pellicola ha un significato preciso. Appare chiaro che il film procede seguendo due diversi percorsi, anche se non esattamente paralleli. Per un verso, siamo spettatori di una fiction vera e propria, costituita dalle vicende dei due giovani protagonisti; per un altro, con gli attori-musicisti che interpretano se stessi, è presente qualcosa di più improvvisato e immediato. Gatlif come nei precedenti “Gadjo Dilo” e “Vengo”, dimostra una vera predilezione per la musica (lui stesso qui è arrangiatore e compositore di alcuni brani musicali). E nelle parti musicali di “Swing” niente ha l'aria di essere artefatto. C'è poco di didascalico, neanche quando Max prende le lezioni da Miraldo. In questo, il regista è coerente con il senso universale del film: le cose si fanno con il cuore e la musica, come l'amore, è la cosa per eccellenza. Così, i pezzi suonati durante le lezioni o alle feste, prendono corpo in modo spontaneo e improvvisato, fuori da ogni scrittura e sceneggiatura.

Il film si lascia guardare ed ascoltare come capitava in “Buena vista social club”. Anche il film dedicato ai grandi suonatori cubani indicava nel cuore, prima ancora che nelle mani e nella testa, l'organo umano principale per affrontare uno strumento. E poi come i protagonisti del documentario di Wenders, anche i Mandino Reinhardt e Tchavolo Schmitt sono degli outsider, ossia dei grandi musicisti fuori mercato che sentono le note d'istinto e non per ordine di una casa discografica. I violini, le chitarre, le fisarmoniche e i banjo intonano melodie ovunque e in qualsiasi momento. Non si è mai sazi, nemmeno dopo che si è suonato e bevuto per tutta la notte. Finita la festa, si può andare in uno scantinato e continuare a suonare, come il cuore continua a battere anche quando si dorme.

In “Swing”, allora, la musica è ciò che istituisce continuamente un sentire comune, e che dà luogo a un mondo ove ogni individuo ha diritto di cittadinanza. Non c'è differenza d'età, di razza o di sesso. Non deve stupire, quindi, che nella pellicola di Gatlif il mondo esterno sia quasi del tutto invisibile, un po' come in quei cartoni animati nei quali l'uomo è un elemento estraneo e di disturbo.

Solo quando la nonna di Swing racconta a Max la tragica esperienza delle deportazioni operate dai nazisti ai danni degli zingari (che peraltro, colposamente, tanti disconoscono) o quando riappare la madre dello stesso Max alla fine della vacanza estiva, si avverte la presenza di qualcos'altro. Come in un sogno, alla fine ci si sveglia e si torna alla grama realtà di tutti i giorni, anche se il cuore continua a battere a tempo di… swing.

di Mazzino Montinari

IL SITO
www.swing-lefilm.com

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