Paesaggio urbano, paesaggio umano, paesaggio cinematografico… Si sono moltiplicate le definizioni del Leone d’oro di Venezia 70 “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi (cognome di buon auspicio per il cinema impegnato italiano) e sembrano tutte comprese nel film-documento esistenziale che ruota intorno alla grande arteria urbana di Roma. E’ un apparente vagabondaggio intorno all’Umanità sospesa tra Terra e Cielo (bello lo svelamento finale attraverso il sonoro con “Il cielo” di L. Dalla:…”la terra finisce e là comincia il cielo”…); passano pecore, uomini, donne, transessuali, bambini, giovani, vecchi, palme malate, acari, palazzi, ville,cimiteri, parchi, aerei…; le persone parlano, pregano, mangiano, cantano, lavorano, comunicano sulla rete o al telefono… Insomma, vivono, ripresi dal punto di vista del regista-narratore, sottolineato da inquadrature documentaristiche quasi da osservatore al microscopio. Emerge, comunque il “Sacro” del titolo: dal rispetto per ogni individuo, alla “pietas” dolente e inconsapevole che da molti traspare.
Un film su una zona di confine dove i Mondi si toccano, sfiorandosi, ma senza contaminarsi: sono compresenti, senza riuscire a integrarsi in un unico “paesaggio”. Frammentari, come le storie, tutte appena accennate, senza poter entrare nella profondità delle vite, senza potere e volere spiegarsi i loro percorsi individuali.
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