Soggetto: Nel dipinto "La strada per il Calvario", Peter Bruegel il Vecchio riproduce la passione di Cristo, collocandola nelle Friandre del XVI secolo, oppresse dalla brutale occupazione spagnola. Il pittore stesso si pone come guida delle varie fasi lungo le quali l'opera prende corpo. Con l'amico e collezionista d'arte Nicholas Jonghelinck, parla, riflette, commenta. Le rispettive mogli Marijken e Saskia sono al loro fianco, vicino a loro Maria osserva l'incedere dell'azione. Mentre alcuni personaggi subiscono il dispotico potere degli spagnoli, arriva il momento in cui Gesù viene incatenato e condotto verso il Calvario. Qui si compie il destino. E anche il dipinto arriva a compimento.
Valutazione Pastorale: Nato probabilmente a Breda tra il 1525 e il 1530, morto a Bruxelles nel 1569, Bruegel dipinge "La strada per il Calvario" nel 1564. Dopo aver in passato dedicato attenzione a nomi quali Basquiat, Bosch, Wojaczek, Lech Majewski si concentra ora sull'opera di Bruegel, un affresco invero di non grandi dimensioni ma di infinita suggestione. Il regista mette in scena il pittore che lavora alla composizione: a poco a poco nasce e si concretizza una stupefacente operazione di passaggio tra la realtà, la sua cronaca, il suo superamento nelle forme della trasfigurazione. L'occhio di Majewski plasma l'immagine come l'artigiano lavora sull'argilla: cerca l'armonia ma sa che deve farla nascere dal dolore, dispone gli oggetti ma senza alterarne i ruoli. La centralità della figura di Gesù non annulla le presenze 'altre', quelle di chi spesso subisce la prepotenza della Storia senza alcuna difesa. La sofferenza del Cristo è quella della popolazione intorno, il sacrificio del Calvario è quello di tutti, di un'umanità dolente e attonita. "Così, proprio come il ragno, io costruisco la mia tela, sperando di catturare l'occhio dello spettatore" dice nel finale Hauer/Bruegel. L'operazione filmica ha tratti di sottile e crescente coinvolgimento: in apparenza il regista spersonalizza lo sguardo ma in realtà circuisce l'inquadratura con gesti di alto livello non formale ma creativo, nei quali la sintassi scavalca la prosa per entrare nel campo di una poeticità accorata, evocativa, affidata a simboli come tappe di un 'riconoscibilità' che supera il contingente. La disposizione di oggetti e persone sfonda il chiuso dei luoghi per distendersi lungo uno spazio infinito e profondo. Così la 'creazione' diventa una preghiera, un grido di riscatto, un gesto di ribellione in nome della Pace. Esemplare la sequenza finale, quando la m.d.p. si allontana a poco a poco dal dipinto oggi collocato in un museo. Quella cornice sembra certificare un limite che non corrisponde al vero: e forse stavolta è il cinema, disegnando con un morbido carrello la giusta distanza, che aiuta la pittura a rompere i vincoli del tempo e a rendere attuale la nostra percezione dell'arte, sacra perché al servizio dell'uomo, della sua vicenda terrena e ultraterrena. Film di grande ricchezza e visionarietà che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, poetico e adatto per dibattiti.