Il film, prodotto da Spielberg e scritto da Peter Morgan ("The Queen", "Frost/Nixon"), è l’ennesimo centro di un Eastwood che difficilmente “sbaglia il colpo”. E dire che il tema si prestava a facili “scivoloni”: una storia corale, con tre personaggi alle prese con contatti con i defunti e con la ricerca di risposte a quanto ci attende dopo la morte .
Il racconto si snoda in modo convincente, con personaggi ben costruiti: la giornalista francese Marie (Cécile de France), che dopo un ritorno dall’aldilà (potente la rappresentazione dello tsunami e la soggettiva della donna che resta sospesa tra vita e morte) inizia una solitaria ed incompresa indagine; il piccolo Marcus (Frankie McLaren), un ragazzino inglese cui un incidente ha portato via il fratello gemello; il sensitivo americano George (Matt Damon), che vorrebbe una vita normale, senza visioni… il dolore li farà incontrare.
Il montaggio parallelo con cui Eastwood narra le tre vicende, richiama pellicole come “21 grammi” o “Babel” di Inarritu e conferisce forza ad una materia delicata e, soprattutto, discreta credibilità e necessità ad un percorso che, malgrado alcune situazioni prevedibili, mantiene il sapore accorato e dolente cui l’ottantenne regista ci ha abituato. Apprezzabili anche le critiche ai tanti ciarlatani venditori di illusioni, ma anche le esche di significato attraverso cui leggere il film (i richiami a Dickens, le lezioni di cucina con le note del melodramma…) E il finale, con la MdP che si alza sui personaggi e sulle ultime note lasciandoli alla loro storia, che resta aperta come in un nuovo incipit, ci fa ripensare un po’ anche a Sergio Leone.
Valutazione: tre pallini e mezzo