A undici anni dall'uscita di “Happiness”, Todd Solondz torna ad occuparsi della famiglia Jordan, delle tre sorelle in particolare e di tutto ciò che ruota intorno alle loro vite. Fa questo prendendosi alcune licenze poetiche: prima di tutto con un cast totalmente diverso, alcuni persino di razza diversa, e tenendo alcuni personaggi, presenti nel precedente film del tutto fuori campo come il padre, che viene nominato appena dalla madre delle tre sorelle, anch'essa presente per alcuni minuti in scena, e soprattutto non rispettando appieno la continuità temporale, in quanto alcuni personaggi, sembrano essere invecchiati, naturalmente, dopo undici anni, mentre altri non lo sembrano affatto.
Ciò che è rimasto immutato sono i loro dolori e i loro stati depressivi. Nella pellicola, infatti, tutti, bambini compresi, e perfino i morti che appaiono di tanto in tanto, sono affetti da depressione. Quest' ultima è presente nei personaggi in maniera manifesta, in alcuni, invece, come nella sorella maggiore, è latente, mascherata da una facciata solare, come l'ambientazione del film, con i suoi colori pastello, ma non per questo meno preoccupante. Tutti i personaggi fanno i conti con i loro fallimenti, e anche successi, come la sorella di mezzo, scrittrice affermata, ugualmente insoddisfatta, che li rendono infelici, inadeguati alla vita. La sorella minore, Joy, sposata con un pervertito che non può fare a meno di molestare donne per telefono e che viene di tanto in tanto importunata dal fantasma di un suo precedente amore finito male, decide di raggiungere le altre due sorelle trasferitesi in Florida. Li troviamo la maggiore delle tre, madre di famiglia, con tre figli a carico che si è rifatta una nuova vita in seguito all'arresto del marito, psichiatra pedofilo, incriminato e finito in carcere alla fine del precedente film. Quest'ultimo viene rilasciato dopo undici anni di reclusione e decide di andare a trovare il figlio più grande al college per accertarsi che anch'egli non abbia le sue stesse inclinazioni sessuali, e per chiedere perdono.
La pellicola come ci viene suggerito dal titolo(italiano) “Perdona e dimentica”, riflette sulla possibilità del perdono e sulla possibilità di lasciarsi tutto alle spalle.
Tutto ciò viene messo in scena con uno stile semplice, lineare, quasi surreale, e soprattutto attraversato da una vena di umorismo nero e acido che caratterizza tutta la filmografia del regista. Infatti, prima di suscitarci angoscia, queste piccole e grandi tragedie, fanno ridere, in alcuni casi, letteralmente di gusto, perché questi personaggi sono piccoli, tragici e in alcuni casi stupidi come le loro problematiche o per lo meno il modo in cui gli si riflettono addosso.
Solondz con “Life during wartime”, titolo originale e sicuramente più potente della versione italiana, si conferma un autore unico, capace di irritarci, di farci ridere e riflettere. Il film è stato premiato per la sceneggiatura all' ultimo festival di Venezia, anche se avrebbe meritato di più, perché di registi così radicali, capaci di suscitare emozioni quasi opposte tra loro e di farle, soprattutto, coesistere felicemente all' interno delle proprie pellicole non ce ne sono molti.