Trama
Parigi, rue de Grenelle, 7. Renée Michel fa la portinaia di uno stabile abitato solo dall'alta borghesia. Renée Michel sembra essere il prototipo della sua categoria: è una donna grassa, sciatta e teledipendente. Renée però nasconde un segreto insospettabile: è, in realtà, una donna molto colta, interessata all'arte, alla letteratura e alla musica ed ama molto tutto ciò che è giapponese. Nello stesso palazzo abita anche Paloma Josse, una ragazzina dodicennei dall'intelligenza straordinaria che è decisa a suicidarsi il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno. Nel frattempo Paloma si comporta come tutte le sue coetanee, osserva e critica tutto ciò che la circonda, finge di essere una ragazzina mediocre, interessata alla vita. Sarà il misterioso monsieur Ozu, ricco giapponese, a far incontrare e a cambiare il corso delle vite di Renée Michel e Paloma ...
Critica
"Una nota legge del cinema recita che da un bel romanzo si ricava un brutto film e viceversa. Il caso de 'Il Riccio', sulle orme del famoso bestseller, rappresenta un' eccezione inutilmente complicata, nello spirito di questo curioso fenomeno letterario. Da un romanzo non bellissimo e magari sopravvalutato, è sortito un film non brutto ma sicuramente sottovalutato. Anzitutto dall'autrice de "L'eleganza del riccio", Muriel Burbery, che ha scomunicato l'opera, stroncata senza pietà, e ha intimato alla produzione di sostituire la dicitura «tratto da» con la più generica «liberamente ispirato». Come se per gli spettatori facesse questa gran differenza. Una spiegazione un po' maliziosa di tanta furia è che la Barbery si sia pentita d'aver venduto i diritti cinematografici troppo presto, quando il romanzo non aveva ancora venduto milioni di copie, accettando la regia e la sceneggiatura dell' esordiente Mona Achache. Una dose di calcolo è del resto il difetto principale della scrittrice, peraltro compensata dall'intelligenza e da un notevole sense of humour. Queste due qualità in effetti si perdono non poco sullo schermo. Ma 'Il Riccio' ha altre qualità. La capacità di dipingere con pochi tratti, rispetto alle tirate filosofiche del testo, il penoso senso della vita dell'ipocrita alta borghesia francese. E soprattutto, la gigantesca interpretazione di Josiane Balasko, nella parte dell'eroina del romanzo, la portinaia autodidatta Renée Michel, il riccio, ispida e puntuta all'esterno quanto 'terribilmente elegante' nell'anima. Bastano un mezzo sorriso o uno sguardo o una lieve esitazione di tono alla Balasko per schiudere allo spettatore i mondi segreti di sogni e idee e bellezza che al lettore erano raccontati in decine di pagine. L'incontro fra la cenerentola cinquantenne, brutta, grassa e «con le cipolle alle ginocchia» con l'anziano principe azzurro, catapultato di colpo dal Giappone nel condominio di lusso di Rue de Grenelle, conserva la grazia ironica della pagina. Il libro abbonda di citazioni. Tranne una, che è un'astuta omissione: il meraviglioso saggio di Isaiah Berlin su Tolstoj («Il riccio e la volpe») dal quale forse la colta autrice ha tratto l'ispirazione più bella. Nel film di citazioni ce n'è una sola, ingenua e autolesionistica: la scritta «Chabrol» che campeggia nella libreria nascosta di Renée. Inevitabile ricordare con nostalgia gli straordinari ritratti d'interno borghese del maestro francese. Mona Achache non è Chabrol, ma dopotutto neanche Muriel Barbery è Georges Simenon. Alla fine vale comunque la pena, per lettori e spettatori, di seguire le orme del riccio." (Curzio Maltese, 'la Repubblica', 09 gennaio 2010)
"Quando è venuta a Roma a presentare 'Il riccio', adattamento cinematografico del best-seller 'L'eleganza del riccio' di Muriel Barbery, la regista Mona Achache era quasi sulla difensiva, perché in Francia, paese natale della Barbery e della Achache, il film è stato accolto da reazioni miste, come sempre succede quando si porta sul grande schermo un romanzo molto amato. Achace non dovrebbe preoccuparsi: 'Il riccio' è, in una parola, elegante, e riesce a raccontare in modo fortemente visivo quello che, sulla pagina, era narrato facendo uso sapiente della parola attraverso il diario di Paloma, una ragazzina delusa dalla vita e annoiata dal suo tran tran familiare, che medita di uccidersi il giorno del suo tredicesimo compleanno. (...) La storia de 'Il riccio' si sviluppa sul grande schermo con una lentezza studiata, quasi orientale, grande attenzione viene data alla composizione dell'immagine e a dettagli che rendono il film quasi tridimensionale, dettagli come l'attenzione ai tessuti, alle tappezzerie, alla carta da regalo con cui il signor Ozu avvolge i suoi pacchetti: un'attenzione da pittura di Matisse che rende più ricca e intensa ogni inquadratura, ma che a tratti può risultare un po' stucchevole, come la logorrea e il cinismo molto haute bourgeois di Paloma. La scelta dell'attrice e regista Josiane Balasko nei panni della portiera Renée è invece azzeccatissima. La Balasko presta la sua fisicità goffa e impacciata a questa donna che sa dire solo la verità ma costruisce un'esistenza posticcia, nascondendosi dietro alle aspettative stereotipate degli altri (come la madre di Paloma, la cui snobistica etica di vita si traduce nel comando che dà alla figlia: «Non fare uscire il gatto, non far entrare in casa la portiera»). E i dettagli, cui la regista presta molta attenzione, ci rivelano informazioni preziose sui personaggi: ad esempio Paloma, davanti al pianto di Renée, abbassa la telecamera e corre ad abbracciarla, dimostrando con un gesto di non essere affatto la creatura cinica figlia del nostro tempo che vorrebbe farci credere. 'Il riccio' è un'opera prima con qualche ingenuità e qualche vezzo da intellettuale della rive gauche, ma è efficace nella sua narrazione scarna quanto ad avvenimenti e a dialoghi, e opulenta quanto ad ambientazioni e costumi. E anche se alcuni elementi del romanzo vengono significativamente modificati lo spirito del libro rimane intatto, e il messaggio sull'eleganza di tanti dimenticati, quelli che «non sappiamo riconoscere perché non li abbiamo mai visti», arriva dritto al cuore degli spettatori." (Paola Casella, 'Europa', 02 gennaio 2010)
"Non era facile portare sullo schermo 'L'eleganza del riccio' di Muriel Barbéry (ed. E/O), best-seller iperletterario (ma con leggerezza) articolato in una serie di monologhi. L'esordiente Mona Achache sceglie la semplicità, ovvero la simpatia e la vivacità, trasformando i monologhi nelle scene filmate da Paloma o nei disegni che esegue a getto continuo. E accentuando il carattere da fiaba gentile della vicenda (rititolata 'Il riccio' anche per sottolineare il dichiarato distacco della scrittrice dalla versione cinematografica). Ne esce un film svelto, illustrativo, forse non molto ambizioso ma a suo modo del tutto riuscito. Il che non guasta." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 05 gennaio 2010)