Forse il miglior film di quest'anno. La storia è quella di un direttore d'orchestra del Bolshoi di Mosca decaduto all'epoca di Breznev per aver protetto alcuni musicisti ebrei, ridotto al ruolo di custode per 25 anni, cui capita l'opportunità di intercettare un invito per suonare a Parigi e che, raccogliendo un'improbabile orchestra, che spaccerà per quella ufficiale, avrà l'opportunità di un tardivo riscatto.
La dimensione grottesca cui ci ha abituato tanto cinema balcanico viene qui esaltata da un montaggio a tratti entusiasmante, con immagini e musica a duettare ora per accentuare il versante comico, ora per sviluppare pieghe drammatiche, ora per definire abili ellissi narrative necessarie alla storia.
Anche la fotografia, in questa cornice, si esalta e aiuta a definire con fluidità i diversi piani temporali su cui il racconto procede, per il graduale disvelamento di un passato alla luce degli eventi del presente.
Su tutto la sensazione di una favola in cui la libertà di tutti cresce grazie a quella di ciascuno, come in un'orchestra apparentemente costruita da strumenti dissonanti ma che, dalla passione di alcuni trae energia e coesione.
Sublime la rappresentazione finale del concerto per violino e orchestra di Pyotr Ilyich Tchaikovsky.
Il regista Radu Mihaileanu, che già aveva commosso e divertito nel 1999 con il film "Trein de vie", conferma la sua anima gitana e la voglia di schierarsi contro ogni dittatura, anche quella della volgarità e delle "culture ufficiali".
Assolutamente da vedere.
