> Home > Chi siamo > Rassegne > Contatti

 

 

:: in evidenza

::> |

MAR NERO

regia: Federico Bondi
Ilaria Occhini
anno: 2009


Ogni verifica di lontananza si predispone all’incertezza. Incertezza dei sentimenti e delle passioni che alimenta la tentazione del vuoto, l’abbandono dell’empatia, il desiderio di una presa di distanza da se stessi che spande il dolore sugli altri, che fa schizzare il veleno di un indurimento morale, come effetto dei rimpianti e della consapevolezza dell’implacabile scorrere del tempo nell’attesa. Ma niente può rimanere immobile perché vivere significa essere comunque presenti, qui e ora.
Decide d’indagare il fulcro fatiscente del microcosmo familiare, l’opera prima di Federico Bondi, Mar Nero, riuscendo brillantemente a catturare gli impervi passaggi di alcune emozioni private, sondando in profondità il terreno della comune, contemporanea vocazione all’incomunicabilità. Fin dall’incipit, ambientato all’interno di un’automobile, il regista di questo film rigoroso e intenso, mostra di volersi addossare ai personaggi della sua storia minimalista, sfruttando con sobrietà e pudore le possibilità offerte dal mezzo digitale, la presa diretta utile a intercettare l’intensità speciale di volti e corpi, la gravità del vero nella ricercata densità dei particolari rivelatori (un gesto, una pausa, un’esitazione bastano a svelare il mondo che ognuno si porta appresso). E’ un debutto, quello di Bondi, da inscrivere nell’alveo del cinema italiano più maturo, un modo indipendente di fare film che si dispone alla libertà del linguaggio (anche grazie all’apporto produttivo di Francesco Pamphili e di Marina Spada), lasciando campo libero alla creatività degli interpreti. Il regista collabora sia al soggetto (in coppia con Cosimo Calamini) sia alla sceneggiatura (con Ugo Chiti) predisponendo la sua partecipata disamina analitica, tutta giocata per sfumature e dettagli, senza mai concedere nulla all’effetto mélo o alla banalità del colpo di scena, attingendo con grazia a certe suggestioni cinematografiche.

Seguiamo, dunque, con emozione il breve tragitto che compie in macchina Enrico (Corso Salani) recandosi alla stazione per incontrare la badante rumena Angela (Dorotheea Petre), personaggio protagonista del film assieme a quello dell’anziana Gemma (Ilaria Occhini), madre di Enrico. Siamo alla fine dell’estate del 2006 e la storia si sviluppa fino all’inizio dell’anno successivo, quando la Romania ha fatto il suo ingresso nella Comunità Europea. I personaggi vivono in un quartiere popolare, alla periferia di Firenze: Gemma è una vedova anziana piena di acciacchi, che pare essersi arresa al proprio rancore, a un carattere spigoloso alimentato dalla lontananza del figlio Enrico. Un ruolo aspro, difficile da sostenere, e a cui regala magnifici accenti di verità la ben ritrovata Occhini, nei cui tratti si manifestano le rugosità di una sofferta condizione di solitudine, a malapena celate da un sorriso malinconico evocante le coloriture interiori di certi personaggi cechoviani (che l’attrice ha interpretato, fin da giovane, diretta dal grande Visconti). Questo puntuto ritratto senile rimanda a quello, reso monumentale da Jessica Tandy in A Spasso con Daisy. Il paragone con quel film regge anche grazie alla dinamica psicologica che s’instaura tra la donna e la giovane badante venuta a cercare lavoro in Italia, abbandonando così il marito che lavora in una fabbrica in Romania e da cui ella desidera, un giorno, avere un figlio. La Petre, che incarna il ruolo, è un’autentica rivelazione: dotata di una struggente luminosità è capace di esibire con pudore le incertezze non solo lessicali della sua migrante (sono davvero toccanti i suoi involontari calembour linguistici, il suo goffo tentativo di appropriarsi della lingua italiana della quale riesce a scandire con fluidità solamente le parole della popolare canzone "L’italiano" di Toto Cutugno). Di questo giovane talento ricordiamo la precedente interpretazione in un commovente film di Catalin Mitulescu, Come ho Trascorso la Fine del Mondo, racconto della drammatica vicenda di un vispo adolescente che architetta un piano per uccidere il dittatore Ceausescu. Con questo premiato gioco di attrici (la Occhini ha vinto, come migliore interprete femminile, il recente Festival di Locarno) la parabola esistenziale di Mar Nero offre rilievo allo spietato confronto di due solitudini solo apparentemente contrastanti che prima innalzano, l’una di fronte all’altra, un muro d’incomprensione per scoprire in seguito il varco illuminante di una necessaria solidarietà. Così, quando Angela non ha più notizie del marito (che è stato licenziato dalla fabbrica dopo sette anni di servizio), dovendo affrontare il viaggio di ritorno in patria, si ritrova a fianco l’anziana Gemma, riconciliatasi con lei e con la propria stessa esistenza, pronta a solcare le foci del Danubio.

Questo film leggiadro e profondo offre al suo pubblico sequenze rivelatorie come quella, fatta d’impercettibili sommovimenti psicologici, del pranzo a casa di Enrico dove Gemma insinua sommessamente un confronto tra i baci del figlio e della moglie che non hanno, per lei, lo stesso sapore (non fanno lo stesso rumore) di quelli donati da Angela. E’ in una scena come questa che si rivela la perizia narrativa di Bondi, la sua sincera vocazione di analista dei buchi neri delle relazioni umane, delle maglie che si restringono per poi allargarsi nella fitta rete dell’espressione tra individui.
C’è sempre tempo per incrociare l’altro, per conoscerlo e apprezzarlo: la difficile lezione di vita trova, in questo film, l’emblematica location d’interni soffocanti e claustrofobici (il bagno dell’appartamento dove è difficile persino muoversi) a contrasto con lo spazio rivelatorio e liberatorio dell’orizzonte straniero vissuto nel viaggio finale sul Danubio. L’attenzione alla qualità dei dialoghi sottolinea quella dello sviluppo, drammaturgicamente controllatissimo, dei personaggi anche minori (in un piccolo ruolo notiamo Maia Morgenstern, l’Edith Stein del bel film di Marta Mészáros, La Settima Stanza).
Mar Nero, dunque, si presenta come un’inaspettata gemma nell’ordinario panorama di storie quotidiane che, in Italia, stentano a raccontare, con il dovuto retrogusto poetico, il lato più nascosto delle attuali dinamiche dell’umano. E’ un film fiero di essere indipendente e felicemente anomalo, capace di rendere fiero il proprio pubblico, predisponendolo alla ormai felice anomalia della solidarietà con l’Altro.

indietro

 

 

top