GRAN TORINO
(Id., USA; 2008)
Di Clint Eastwood
Con: Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley, Geraldine Hughes, Dreama Walker. (116’)
Veterano della Guerra di Corea, vive ritirato e scontroso, pago della solitudine e del possesso della sua auto-feticcio. I nuovi vicini di casa, fratello e sorella asiatici, sapranno scuoterlo. Attore, regista, sceneggiatore, spesso autore delle musiche dei suoi film, l’ultrasettantenne e cinematograficamente prolifico Clint Eastwood, regala, (stante le dichiarazioni), la sua ultima interpretazione attoriale: una bellissima e significativa prova d’autore in bilico fra ruvida commedia e dramma. Ancora una volta sembra che il “texano dagli occhi di ghiaccio” voglia rompere col proprio passato (e quello del suo Paese), con la maturata consapevolezza che il peso delle colpe dei padri, ricade necessariamente sulla vita dei figli (e delle giovani generazioni soprattutto). Commovente ed accorato appello alla responsabilità di tutti nel farsi carico delle problematiche degli altri.
Trama:
Walt Kowalski, veterano della guerra di Corea dal carattere ruvido, conduce una vita solitaria con un solo grande amore, quello per la sua auto, una Ford Gran Torino del 1972. La sua vita verrà messa a soqquadro e dovrà presto affrontare i suoi pregiudizi razziali quando Thao e Sung, fratello e sorella di origine asiatica e suoi vicini di casa, si mettono nei guai con una street gang.
Critica:
"L'ispettore Callaghan ha definitivamente chiuso nel cassetto la sua 44 Magnum. E se ha cambiato idea Clint Eastwood - che al cinema ha incarnato "Dirty" Harry, lo stereotipo del giustiziere, e in politica, da conservatore qual è, ha abbracciato le idee repubblicane - vuol proprio dire che negli Stati Uniti il vento soffia in un'altra direzione. La prova sta tutta nell'ultimo, notevole film diretto e ottimamente interpretato da Eastwood, 'Gran Torino': un'apologia della non violenza come risposta alla feroce brutalità della strada, ma anche un invito alla tolleranza razziale, contro ogni pregiudizio; in definitiva, una storia di redenzione. (...) A settantotto anni Eastwood con 'Gran Torino' - in uscita nelle sale italiane - offre, dunque, una lezione di vita, oltre che un'altra superba pagina di cinema, inspiegabilmente ignorata nella notte degli Oscar. Nelle quasi due ore di film - grazie alla brillante sceneggiatura di Nick Schenk, alla sua prima prova, e all'accorta regia - si realizza la catarsi della figura del giustiziere, la cui presenza aleggia impalpabile sul protagonista; un uomo che, nonostante l'età, risulta ancora credibile quando intima minaccioso: "Fuori dalla mia proprietà!".
"Questo è il mio film più piccolo - ha detto il regista - ma anche il più personale. Non è tempo di poliziotti estremi, ma di coraggio nel comprendere gli altri". Il messaggio è chiaro ed è diretto a tutti i Kowalski che, sentendosi assediati da un mondo che cambia e che non riescono o non vogliono comprendere, credono ancora di poter combattere una guerra personale." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 13 marzo 2009)
"Lo strano, o per lo meno l'insolito, in un film hollywoodiano è la libertà che sembra prendersi Eastwood, che a un certo momento dà l'impressione di 'perdersi' in lunghe deviazioni apparentemente non essenziali. Si prende il tempo per raccontare alcune specificità antropologiche degli hmong scherza con le differenze razziali (e razziste) delle varie anime americane, allontana la minaccia che incombe sul film come se volesse far imboccare al film un'altra strada, quella di una commedia di costume un po' fuori dai tempo. E poi, all'improvviso, fa ripiombare lo spettatore di fronte alla violenza e alla crudeltà. Obbligandolo però a fare un passo ulteriore, che è quello dell'assunzione delle proprie responsabilità di fronte alle ingiustizie della vita. E chiudendo perfettamente il percorso che unisce questo film a 'Mystic River' e 'Million Dollar Baby': la coscienza della responsabilità che i padri - veri o putativi poco importa - hanno verso i figli. E il carico di debiti morali da cui non possono certo liberarsi. Alla fine la storia riprende il suo percorso incalzante e sorprendente, che naturalmente lasciamo allo spettatore scoprire. Possiamo solo aggiungere che Eastwood lo fa con una assunzione di responsabilità inusitata anche per i suoi film, quasi fosse riuscito finalmente a fare i conti davvero con la morte che nelle sue. ultime regie aveva sempre più invaso le avventure dei suoi non-eroi, finendo per assumere l'aspetto del convitato di pietra. E che Eastwood filma con la semplicità e l'immediatezza che hanno solo i grandi." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 13 marzo 2009)
"Con 'Gran Torino' Clint Eastwood torna a dirigere se stesso a tre anni dal premio Oscar 'Million Dollar Baby'. Con lo stesso passo blues dei suoi titoli precedenti (in particolare 'Madison County'), con la stessa cura maniacale e poetica per i particolari umani, con passione e amore per temi e personaggi scomodi, Eastwood fa della sceneggiatura del giovane esordiente Nick Schenk un canto all'umanità di ciascuno di noi. (...) Eastwood continua nella sua personalissima strada di osservazione di razze, religioni e differenze mettendo il proprio occhio addosso agli individui, cercando di scavarne le superfici senza appassionarsi a retropensieri o psicologismi, semplicemente accarezzandone i corpi. Ci fa spettatori del quotidiano, ma in una sorta di ralenti che ci permette di assaporare tutte le sfumature. Che a volte fanno tutta la differenza. La sua è un'arte che ormai porta un marchio, basta una prima inquadratura per capire che si tratta di lui, della sua firma, della sua macchina. Che si muove sempre delicata e a ritmo. Lo schermo suona, quando gira Eastwood. Un ritmo lento, nostalgico, con refrain appassionati e struggenti che sfumano verso il finale, lasciandoti addosso tracce di verità e di sublime. Una partitura che il regista ormai esegue ad occhi chiusi e che noi ci godiamo ogni volta, ogni volta meglio, ogni volta di più." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 13 marzo 2009)