Ciad; ai giorni nostri. Un ragazzo di quindici anni, viene inviato, dal nonno, a vendicare la morte del figlio, padre del ragazzo. L’uomo che ha ucciso un tempo, dovrà morire per mano del giovane, ma questi, di fronte all’uomo, non ha il coraggio di compiere la sua azione. L’uomo, per di più, che non sospetta le intenzioni del ragazzo, si offre di adottarlo. Si “parla” molto (in effetti gli argomenti sono più evocati dalle immagini che dai suoni) di pane e di perdono, di guerra, colpa e redenzione, in questo film di Mahamat-Saleh Haroun, presentato a Venezia due anni fa. Un percorso metaforico a partire da titolo (Daratt – siccità) che allude alla aridità dei sentimenti e alla necessità di un Paese di tornare alla vita dopo una massacrante guerra civile. Tutto è simbolico nella pellicola (l’assassino è muto e non può chiedere perdono), il giovane esecutore della vendetta cerca giustizia ma è vincolato dalla faida; l’assenza del padre è compensata dal percorso di formazione proposto dall’ex-criminale, ora panettiere. Molto attenta, la regia, nel centellinare dialoghi minimali e silenzi più che espressivi in una dilatazione di tempi e spazi che allargano la prospettiva dal microcosmo del racconto al macrocosmo dell’Africa lacerata da lotte e tensioni annose.
·Premio Speciale della Giuria (Venezia 2007)
·Menzione Speciale della Giuria Signis
·Premio “La navicella” Venezia Cinema dell’Ente dello Spettacolo.