regia:
Manole De Oliveira
Ricardo Trepa, Leonor Silveira, Michel Piccoli, Marisa Peredes
anno:
Portogallo, 2005 - 137'
L'autore svela il suo stile sin dall'apertura dei titoli, accompagnati da una musica allegramente sinistra e dall'immagine statica della casa che farà da scenografia per tutto il film. Il film ha una cadenza lenta e meditata in ogni movimento minimale (quando c'è) della telecamera, in ogni gesto essenziale degli attori, in ogni inquadratura volutamente provocatoria.
La storia sembra non avere forma, anzi non ne ha affatto, perchè non è ciò che conta. Contano invece l'estetica della pellicola e la saggezza con cui è stata prodotta, l'intelligenza riversata nella stesura di ogni dialogo. Ci sono parole belle, sagge, colte, ragionate e disarmanti spunti riflessivi. Si parla di e si riparla senza capire la direzione delle frasi. Dove vogliono arrivare? Pare si stia parlando della solitudine interiore di un uomo, o forse no, ora il tema è la religione.... un po’di scene ancora e spunta quello che sembra il dilemma principale: la Vergina Maria era ricca? No, non si sta parlando di questo, si sta raccontando il percorso di una morte; ma a pensarci ora sento che mi sfugge un'altro senso ancora.
Procedendo, ci sono po’ di cose su cui riflettere.
Ad esempio che c'è un certo parallelismo, buttato là, che collega la prima parte del film con tutto il resto. Il protagonista iniziale della storia è un detenuto che parla col Direttore del carcere. Quest'ultimo, per evitare di impazzire tra i suoi simili, cura piantine grasse in attesa di quella che sarà l'unica e meravigliosa fioritura. In parallelo, subentrerà più tardi la protagonista, una signora melanconica che per fuggire dal suo carcere dorato di ricchezze e solitudine, coltiva il desiderio di un'apparizione della Vergine Maria, anche questo unico e meraviglioso istante da attendere con devozione.
Ma in tutto questo, due contrapposizioni: il carcere, che non è il luogo della disfatta dell'essere umano bensì il suo nuovo punto di partenza (un detenuto in particolare, parla di come si senta protetto là dentro); e la sfarzosa casa, di un colore spirituale (l'azzurro) che però è un punto d'arrivo, è il luogo della morte, della"danza macabra" e dei "fossili". Abbiamo così il pluri-omicida da una parte, che sa di non sentirsi solo perché l'odio è il suo miglior compagno; e la ricca signora dall'altra, alienata però dall'incomunicabilità che impregna la sua intera esistenza.
L'incomunicabilità è dunque la spina dorsale di un film, ove nulla sembra realmente concreto. In primis i personaggi: chi sono? Da dove vengono? Dove sono diretti? Ne entra in scena uno e ne scompare un'altro senza un'apparente motivo. Mi vien da pensare che, in fin dei conti, anche le nostre esistenze sono proprio così, ritmate da individui che entrano ed escono dalle nostre vite, senza la necessità di domandarsi il perché. L'incomunicabilità e due luoghi fondamentali: l'interno della casa e l'esterno. Il giardino è un luogo mistico, che circonda di ulteriore sacralità tutti i dialoghi. C'è pace, c'è sempre il sole e la presenza spirituale del vento. L'interno della casa è un luogo autorevole, dove i discorsi prendono spessore "razionale" e dove l'unico sottofondo sono o il silenzio o della musica in lontananza. Musica che è tranquilla solo quando non c'è. Quando è presente è fugace, sono violini nervosi, sfuggenti, a ricordare che tutto è inafferrabile. Ma la musica suscita anche una velata ironia, diverte assieme alle battute provocatorie ed è perfettamente in sincrono con il cambio di scena.
Tecnicamente è visibilmente una pellicola pensata con genuinità, fatta quasi con spensieratezza e senza prendersi sul serio.
Al rigore metodico si è preferito una "superficialità" , che rende questa strana storia decisamente credibile.
Chiudo ricordando il titolo della pellicola, "Specchio Magico". Nel film è l'oggetto vero e proprio, visto come una "porta del passato".
Per me è la metafora dell'introspettività, il ricordarci che la vita ci costringe a guardarci dentro, portando con noi solo due certezze: che si nasce e che si muore. Tutto quello che vi è al centro è una costruzione dell'incertezza.