Girato con la consueta abilità, l’ultimo lavoro di Carlo Mazzacurati non ci ha convinto del tutto.
La storia inizia come un racconto morale di formazione narrato in prima persona dal protagonista, ma presto si capisce che si svilupperà come una sorta di “giallo padano” a più voci (il narratore diviene a tratti onnisciente, a tratti la maestrina appena arrivata in paese a turbare i sensi degli abitanti). Il motivo dell’indagine è introdotto attraverso il lavoro di corrispondente in erba del giovane protagonista, che così diviene anche detective-osservatore.
Lo scarto che subisce il racconto, come dicevo, convince poco e si rivela fin troppo prevedibile negli sviluppi e negli esiti. Lo spettatore non dubita quasi mai: in questa storia c’è una vittima designata, la cui verità non interessa a nessuno: anzi verrà trattata come le tante carcasse di cani assassinati lungo il greto del Po, buone solo per un suggestivo pezzo di cronaca.
Il difetto forse è proprio quello di non mantenere “la giusta distanza” dai personaggi.
Malgrado ciò non mancano momenti ispirati. Su tutti, la conclusione della scena della festa sul fiume con la deriva silenziosa e notturna del traghetto su cui viaggia da sola la vecchia maestra impazzita.
Valutazione: quasi tre stelle.