Trama:
Queens, 1986. Manhattan, ombelico del mondo, è a pochi chilometri ma temporalmente ad anni luce di distanza. Dito vive con i suoi genitori e trascorre la giornata con i suoi amici di strada, Antonio, Giuseppe e Nerf, fra droga, noia e microcriminalità. Alcuni drammatici eventi accaduti proprio nell'estate di quell’anno segnano però l'adolescenza del giovane Dito. Un mondo chiuso, una sorta di ghetto in cui la società americana sembra aver confinato italiani, portoricani, greci, un quartiere senza via di scampo che a un certo momento inizia a stare troppo stretto a Dito che decide così di partire per la California ed intraprende la carriera letteraria; un giorno una telefonata di sua madre lo richiama nei luoghi della sua giovinezza e lì sono ad attenderlo diverse questioni rimaste irrisolte ed un passato da affrontare e col quale fare definitivamente i conti …
A coronare una pellicola eccellente un cast altrettanto esemplare su cui spicca un Chazz Palminteri che finalmente esce dal consueto ruolo da caratterista e, svestendo i panni appunto del mafioso, indossa quelli di un padre dall'umanità commuovente.
PREMIO DELLA 21MA SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA, VENEZIA 2006.
Critica:
"Tutto l'amore e la violenza della giovinezza in un film che ci riporta al cinema libero e folle dell'America anni 70 con una storia di memoria e tradimento, di fuga e riconciliazione. Tutti i salti, gli strappi, le incoerenze, le improvvisazioni, le cose già fatte mille altre volte ma sempre così belle ed emozionanti che sembrano nascere sotto i nostri occhi, in un esordio che non può non far pensare al primo Scorsese e a Spike Lee. Anche se Dito Montiel, ex-musicista punk, ex-modello per Bruce Weber, ex-galoppino dei gangster greci e italiani di Queens, scrittore acclamato per un libro ancora non tradotto che porta lo stesso bellissimo titolo del film, 'Guida per riconoscere i tuoi santi', ha una voce tutta sua; così come appartengono solo a lui questa storia divagante come un brano free jazz e i tanti personaggi che la popolano, a cui il film accenna appena ma che danno ampiezza e profondità a questa rievocazione appesa al filo della memoria. (...) Il tutto assemblato con logica musicale più che narrativa, con una capacità di far parlare i corpi e gli ambienti che lascia senza fiato, con una sensualità che traduce in immagini quello che i personaggi "sanno benissimo ma non diranno mai", per usare la formula di Montiel, o diranno solo per sbaglio (la dichiarazione sul balcone, altro pezzo di bravura). In un film non privo di errori, autoindulgenza, ripetizioni. Ma ricco, emozionante, motivato e inventivo come se ne vedono di rado." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 marzo 2007)
"Nel film si parte proprio da questo successo cui va incontro un romanzo autobiografico di Dito Montiel che, rielaborato, gli è servito per esordire ora sullo schermo. E la sua regia è stata premiata l'altr'anno al Sundance Festival e un altro premio l'ha ottenuto a Venezia, nella Settimana della Critica. Il racconto l'ha costruito su due piani: l'adolescenza nei Queens, al passato, e il suo ritorno a casa, al presente. Questi due piani, però, con felicissima trovata, non li ha mai risolti distaccandoli l'uno dall'altro, ma, al contrario, tenendoli uniti come climi e immagini, senza l'espediente scoperto del flash-back. In questi climi, e con queste immagini, ricostruendovi in mezzo una storia che, pur con sicura autonomia, evoca quelle già sorprese da Martin Scorsese nelle sue mean streets, rappresentandola con una tale autenticità di accenti, di modi, di situazioni e di dialoghi da indurci subito a pensare, ma sempre con la stessa autonomia, ai migliori film fra i Sessanta e i Settanta di John Cassavetes: quei fatti che, mai finiti, sembrano nascere lì di fronte alla macchina da presa, quelle facce cui bastano pochi tocchi per indicare i caratteri che lo presuppongono e le fisionomie che le determinano. Per arrivare a questi risultati bisognava puntare molto sulla recitazione e anche qui Montiel ha vinto la scommessa ricorrendo, per i personaggi degli adolescenti ad attori giovanissimi ma di sicuro talento (Channing Tatum, Shia LaBeouf, Peter Tambakis) e, per quelli adulti, ad interpreti della tempra di Robert Downey Jr., Dianne Wiest, Chazz Palminteri. Perfettamente equilibrati fra loro." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 9 marzo 2007)
"Musicista, autore di una autobiografia, Dito Montiel si è lasciato convincere a trasformarla in film da Robert Downey che è nel cast e da Sting e signora che l'hanno prodotto. 'Guida per riconoscere i tuoi santi' è una classica storia di degrado metropolitano, dove i Santi del titolo sono i protettori del quartiere, lungo la via sociologica del cinema americano anni ' 70 percorsa più volte dai grandi come Scorsese e poi da tutti gli allievi. (...) Mentre nei film dei ' 70, c'era alla fine la partenza verso una meta diversa e forse migliore, qui è tutto già accaduto e la cultura della strada e le tragedie caratteriali hanno dato i suoi frutti, mentre la cultura del domani si attinge solo scappando lontano, fuori dalla povertà violenta e dal legame viscerale. A commento di tutto, oltre che la bella Rosario Dawson, ci sono tutti i manierismi del caso, le gang e il metrò nell'adolescenza estiva del 1986, ma il film, premiato alla Settimana della critica veneziana, è da apprezzare per la sincerità con cui si racconta un ritorno a casa, doloroso come la partenza, forse di più." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 9 marzo 2007)
"Nel trasporre in film la propria storia Montiel ha fuso con originale intuizione i tempi dell'adolescenza e del ritorno a casa, senza ricorrere all'uso del "flash-back", e ha orchestrato e armonizzato con sapienza la recitazione di attori di rango (Robert Downey Jr., Chazz Palminteri, Diane Wiest), e di giovani di sicuro talento (Shia La Boeuf, Rosario Dawson). (...) Tema centrale del film è il rapporto padre-figlio, conflittuale perché nutrito di reciproco affetto, ma anche di incomprensione e di incomunicabilità. Attorno a questo leit-motiv Montiel ricostruisce con uno stile rapido e a volte survoltato, la vita quotidiana dei giovani di una periferia newyorkese degli anni Ottanta ove regnano l'abbandono, la violenza, privata e di gruppo, il degrado morale espresso da un linguaggio di provocatoria volgarità, l'approccio alla droga. È un contesto in cui un giovane può perdere la vita per una stupida scommessa o entrare in carcere dopo una "spedizione punitiva". Ma c'è l'indistruttibile mondo degli affetti a far da contrappunto alla squallore sociale: quello pieno di problemi del padre, e quello, ricambiato, del giovane Dito per i fratelli Antonio e Giuseppe, per i compagni di scuola Nerf e Mike, e per la sua ragazza, Laurie. Sono loro i "santi" che con l'autenticità del proprio sentimento lo hanno aiutato ad attraversare indenne quella palude senza confini. (Gian Filippo Belardo, "L'Ossevatore Romano, 24 marzo 2007)