Un film intenso , l'ultimo di Clint Eastwood, controcampo ideale del precedente "Flags of our fathers" in cui la battaglia più importante della guerra del Pacifico veniva raccontata dal punto di vista americano. In quest'ultimo racconto, che molto ci è piaciuto, anch'esso fortemente problematico nei confronti della guerra e dei suoi artefici, lo sguardo è orientato sul versante nipponico (e non a caso l'intera pellicola è in giapponese sottotitolato).
La storia, che si apre su una spedizione odierna all'interno delle grotte ove era fortificata la resistenza nipponica all'assalto americano e che prosegue con un lungo flashback sugli eventi del 1945, procede come uno scavo all'interno dei personaggi: è proprio per questo che viene anche raccontata all'insegna dell'operazione dello "scavare", che si ripete e ci segue fino al ritrovamento finale, al termine del flashback, delle lettere nascoste dei soldati giapponesi, uniche testimonianze del fiume carsico di sentimenti ed emozioni che troppo spesso la storia ha negato ai vinti.
La fotografia, che segue la linea tematica del nascondimento dei sentimenti (su cui si baserebbe la presunta superiorità degli orientali) adotta colori quasi del tutto asciugati; prevalgono quindi le zone d'ombra e la stessa colonna sonora sposa efficaci registri minimalisti.
Il ritmo dilatato e spesso riflessivo conferma la volontà di evitare le facili tentazioni spettacolari del "war movie", anche se non mancano le accelerazioni nervose durante le azioni belliche con macchina a mano ed effetti speciali in computer grafica. Ma su tutto prevale la volontà etica di raccontare la Storia con i toni della tragedia di tanti piccoli uomini, avviata a concludersi solo ed ineluttabilmente con il sacrificio di tutti i protagonisti.
Da vedere.
Valutazione: tra i quattro e i cinque pallini