Cidade De Deus è una delle tante favelas che sorgono alla periferia di Rio De Janeiro. Qui fra la miseria e la disperazione si aggirano tanti ragazzi che cercano di sopravvivere avvalendosi di mezzi poco leciti. Fra tutti, l'occhio della telecamera si posa su Buscapé, un ragazzino che si differenzia dai suoi coetanei perché non vuole diventare un boss della malavita ma un fotografo. Buscapé cresce e con lui crescono anche corruzione e criminalità. A metà strada fra film e documentario, City of God è un vero e proprio pugno nello stomaco: ti lascia senza fiato, resti senza parole. La violenza, la cattiveria umana, la disperazione, la vendetta, l'odio, sono i suoi ingredienti principali. Basato sul romanzo di Paulo Lins, e quindi su una storia vera, il film colpisce per il modo in cui presenta una realtà di cui sappiamo l'esistenza ma che ci sembra sempre poco probabile o esagerata. La scansione temporale (anni '60-'70-'80) delle vicende si accompagna a piccole appendici interne in cui vengono evidenziate alcune storie particolari che diventano fondamentali per la comprensione del film nella sua interezza. Il passaggio da un periodo all'altro viene sottolineato dal cambio di atmosfera: gli anni sessanta sono tutto sommato anni in cui la corruzione era ancora "casalinga", dovuta a piccoli furti da parte di ragazzi disperati; gli anni settanta sono contraddistinti dall'utilizzo delle prime droghe leggere, da un'aria rarefatta ma ancora conviviale, da una delinquenza che inizia ad organizzarsi ma che si muove ancora su bassi profili; gli anni ottanta iniziano con la scoperta della cocaina e soprattutto del guadagno ad essa connesso e proseguono con la affermazione di piccoli ma spietati capi-banda. Le atmosfere diventano spasmodiche, adrenaliniche, le vite di molti dei protagonisti cambiano repentinamente, la violenza la fa da padrone, la malavita è ormai un dato di fatto. A Citade De Deus comanda il più forte, colui che è in grado di conquistare il mercato della droga, di accaparrarsi i ragazzi più disperati e quindi disposti a tutto. Il delinquente diventa un modello da imitare, un leader da seguire finché non ne arriva un altro più potente. Tutte le leggi qui non hanno valore: sopravvive solo chi segue gli istinti più bassi, chi sa farsi giustizia da solo. Arrivare alla maggiore età è già un traguardo insperato. In tutto questo bailamme, fra strade non asfaltate, case cadenti e senza servizi, si muove l'unica figura per molti versi "normale", Buscapé. Ragazzo di colore, timido, introverso, fin da bambino disdegna la violenza e rifiuta quegli ideali che per i suoi compagni sono gli unici a cui tendere. Lui vuole fare il fotografo. Non ha i soldi per comprarsi una macchina fotografica, ma non ruba, non ammazza per ottenerla. Andando contro corrente cercherà di guadagnarsi onestamente il suo posto nel mondo. Proprio per questa sua diversità, Buscapé sembra una nota stonata. Ma proprio grazie a questo personaggio, capace di vivere in un simile contesto ma di saperne allo stesso tempo restare fuori, proprio grazie a questo ragazzo più simile a noi di tutti gli altri suoi compagni, riusciamo ad addentrarci in una vicenda altrimenti troppo lontana dalle nostre esperienze. Buscapé ci fa da mediatore interculturale, ci permette di capire una realtà che è più brutta di tutti i nostri peggiori incubi ma che comunque esiste e non è neppure troppo lontana. Nel film non c'è un personaggio principale, Buscapé è una delle tante anime della favela. La sua presenza ha lo stesso significato di una voce fuori campo, serve solo a spiegare e a volte a giustificare gli accadimenti. City of god non è la storia di una persona, ma la storia di una favela, la più grande e pericolosa di Rio, quella nella quale per le madri è normale piangere la morte dei loro figli e per i figli è normale vivere da soli per strada, senza nessuno da cui tornare. È la storia di uno spaccato di umanità corrotto, bieco, ostile, in cui a tratti può attecchire la speranza e la voglia di riscatto. Imperdibile.